Cinque dicembre 1994. Ucraina, Russia, Stati Uniti e Regno Unito firmano a Budapest un documento destinato a diventare uno dei punti più discussi della sicurezza europea: il Memorandum di Budapest sulle garanzie di sicurezza. È l’accordo che, dopo la dissoluzione dell’URSS, convinse Kiev a rinunciare all’enorme arsenale nucleare ereditato, in cambio dell’impegno dei firmatari a rispettarne sovranità e confini.
A quasi trent’anni di distanza, quel documento è tornato al centro dell’attenzione internazionale, soprattutto dopo l’annessione della Crimea nel 2014 e l’invasione russa del 2022. Ma cosa prevedeva realmente? E quali obblighi sono stati violati?
Un accordo chiave della sicurezza post-sovietica
Il Memorandum non è un trattato militare come l’articolo 5 della NATO. È piuttosto una assicurazione politica, ufficialmente depositata all’ONU, che impegna i firmatari a:
- rispettare integrità territoriale e sovranità degli Stati coinvolti;
- astenersi da minaccia o uso della forza contro di essi;
- evitare pressioni economiche volte a influenzarne le scelte politiche;
- consultarsi e intervenire diplomaticamente in caso di rischi o aggressioni.
La promessa implicita era chiara: se l’Ucraina rinunciava alle armi nucleari, la sua sicurezza non sarebbe stata compromessa.

Crimea 2014 e invasione 2022: cosa è stato violato
Con l’annessione della Crimea nel 2014, e ancor più con l’attacco su larga scala del febbraio 2022, numerosi governi e organismi internazionali hanno definito le azioni russe incompatibili con gli impegni presi nel 1994.
Le violazioni più rilevanti riguardano:
- Integrità territoriale – L’annessione della Crimea e l’occupazione di territori ucraini contraddicono l’obbligo di rispettare confini e sovranità.
- Divieto di uso della forza – Le operazioni militari non sono compatibili con la clausola che imponeva di non minacciare o attaccare l’Ucraina.
- Pressioni economiche – La leva energetica e commerciale è stata spesso interpretata come forma di coercizione, anch’essa vietata nel Memorandum.
USA e Regno Unito hanno ribadito più volte che, a loro giudizio, la Russia ha infranto gli impegni assunti. Mosca, dal canto suo, contesta questa lettura e rivendica motivazioni di autodifesa e tutela delle popolazioni russofone.
Un documento politico senza “denti” giuridici
Un punto spesso frainteso è la portata legale del Memorandum. Pur essendo un documento internazionale formale, non prevede alcun meccanismo automatico di difesa militare. Significa che Stati Uniti e Regno Unito non erano vincolati a un intervento armato diretto in caso di violazione, ma solo a rispondere politicamente, diplomaticamente o economicamente.
Ed è esattamente ciò che è avvenuto: sanzioni, supporto militare all’Ucraina e pressioni multilaterali, non un coinvolgimento militare diretto dei Paesi firmatari.
Le conseguenze geopolitiche: un precedente pesante per la non proliferazione
La crisi Ucraina ha aperto un interrogativo destinato a pesare a lungo sulle future politiche di non proliferazione: cosa succede quando uno Stato rinuncia alle armi nucleari confidando in garanzie che, alla prova dei fatti, non impediscono un’aggressione?
Molti analisti temono che il caso ucraino possa indebolire la credibilità delle “security assurances” e rendere più complesso convincere altri Paesi a rinunciare a programmi militari sensibili se le garanzie restano solo politiche e non giuridicamente vincolanti.
Una lezione sulla fragilità
Il Memorandum di Budapest rimane un pilastro della sicurezza europea post-sovietica, ma anche una lezione durissima sulle fragilità delle promesse internazionali quando non sono accompagnate da strumenti di tutela concreti.
La sua vicenda continua a influenzare la geopolitica globale, il dibattito sul disarmo e lo schema degli equilibri di potere nel continente.