È iniziato il dispiegamento della Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) a Gaza, primo passo operativo del piano di pace in 20 punti promosso dagli Stati Uniti e accettato da Israele e Hamas.
Dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco di venerdì 10 ottobre 2025, l’ISF rappresenta l’elemento cardine della fase di transizione nella Striscia, con il compito di garantire la sicurezza, sostenere le forze di polizia palestinesi e monitorare l’attuazione degli accordi.
Una missione sotto il coordinamento del CENTCOM
La missione, posta sotto il coordinamento del Comando Centrale dell’esercito statunitense (CENTCOM), sarà guidata dall’ammiraglio della Marina Brad Cooper. Il CENTCOM supervisionerà le fasi iniziali del dispiegamento, coordinando le truppe fornite da Egitto, Qatar e Turchia, con un contributo complessivo di circa 200 uomini sul campo.
Il personale statunitense, già di stanza nella regione, avrà un ruolo di supporto e monitoraggio dell’accordo di pace, ma nessun soldato americano entrerà nella Striscia di Gaza.

L’addetta stampa della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha precisato che “fino a 200 membri del personale statunitense, già operativi presso il CENTCOM, avranno il compito di monitorare l’accordo di pace in Israele e lavoreranno con le altre forze internazionali sul campo”.
Il Centro di coordinamento civile-militare è stato istituito nella zona industriale di Kiryat Gat, nel sud di Israele, dove operano i 200 militari americani incaricati del monitoraggio della tregua, dell’assistenza ai partner internazionali e della facilitazione degli aiuti umanitari.
Londra invia un contingente
Anche il Regno Unito ha deciso di contribuire agli sforzi di monitoraggio. Su richiesta statunitense, Londra ha inviato un piccolo contingente guidato da un alto comandante che fungerà da vicecomandante nel centro di coordinamento di Kiryat Gat. Lo ha annunciato il ministro della Difesa John Healey, chiarendo che il Regno Unito “risponde a una richiesta americana” e che l’invio rappresenta “un impegno limitato e mirato a sostenere la tregua”.
Gli attori della forza multinazionale
La prima fase della Forza ISF prevede la partecipazione di contingenti provenienti da Egitto, Qatar, Turchia ed Emirati Arabi Uniti, in coordinamento con il personale americano. Parallelamente, l’Egitto ha avviato la formazione di 5.000 palestinesi da impiegare nella polizia civile di Gaza, sotto supervisione internazionale.
Diversi Paesi occidentali, tra cui Italia e Spagna, hanno espresso disponibilità a sostenere la missione, mentre il Regno Unito resta per ora cauto sul coinvolgimento diretto sul terreno.
Il veto israeliano: “Nessun soldato turco a Gaza”
Sul piano diplomatico, la fase di composizione della forza multinazionale si è però subito scontrata con un netto rifiuto da parte di Israele alla partecipazione turca.
Secondo quanto riportato da Israel Hayom e confermato da fonti diplomatiche, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha inviato un messaggio ufficiale a Washington dichiarando che la presenza della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan rappresenta una linea rossa.

“Qualsiasi tentativo di coinvolgere la Turchia nel conflitto di Gaza è inaccettabile”, avrebbe detto Netanyahu durante gli incontri con l’inviato presidenziale Steve Witkoff e con Jared Kushner, consigliere e genero di Trump. Tel Aviv considera Ankara un attore ostile, accusandola di aver fornito sostegno politico e finanziario ad Hamas e di mantenere stretti legami con la Fratellanza Musulmana.
Secondo il quotidiano Maariv, Israele si oppone inoltre alla proposta egiziana di far partecipare alla forza anche l’Autorità nazionale palestinese (Anp), sostenendo che qualsiasi coinvolgimento palestinese dovrà avvenire solo dopo il disarmo totale di Hamas.
Un equilibrio fragile
Mentre Washington tenta di mediare, con il vicepresidente J. D. Vance impegnato in colloqui a Tel Aviv, restano aperte molte incognite sulla composizione finale della forza di stabilizzazione.
Gli Stati Uniti insistono sulla necessità di una missione “efficace e credibile”, ma la diffidenza israeliana verso la Turchia e l’Anp rischia di complicare la costruzione del consenso internazionale.
L’ISF si trova così di fronte a una sfida cruciale: garantire la sicurezza e il rispetto della tregua senza alimentare nuove tensioni politiche o regionali. Il successo della missione determinerà non solo il futuro di Gaza, ma anche la credibilità dell’intero piano di pace promosso da Washington.