contestazioni e sdegno

Dopo le diserzioni, in Israele monta la protesta di civili e militari contro l'occupazione di Gaza City

Netanyahu provoca: "Chi vuole, accolga i profughi palestinesi"

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Dopo le diserzioni, in Israele monta la protesta di civili e militari contro l'occupazione di Gaza City
Proteste a Tel Aviv

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si trova al centro di un’ondata di critiche e proteste anche all’interno del suo Paese.

Mentre l’esercito israeliano (IDF) si prepara a occupare Gaza City, il leader ha dichiarato di voler offrire ai civili palestinesi "l’opportunità di lasciare le zone di combattimento e, se lo desiderano, la Striscia di Gaza".

Dopo le diserzioni, in Israele monta la protesta di civili e militari contro l'occupazione di Gaza City
Proteste a Tel Aviv

Dopo le diserzioni, in Israele monta la protesta di civili e militari

Secondo Netanyahu, "questo avviene in ogni conflitto: in Siria, in Ucraina, in Afghanistan milioni di persone sono fuggite". Il premier ha quindi accusato la comunità internazionale di voler “imprigionare” la popolazione civile di Gaza, insistendo sul fatto che "non si tratta di espellerli, ma di permettere loro di andarsene" e rivelando di avere contatti con Paesi disposti a ospitarli, senza fornire ulteriori dettagli.

Il capo del governo ha ribadito che l’obiettivo finale è "concludere la guerra, liberare tutti gli ostaggi e sconfiggere i nemici di Israele. La cosa più naturale per tutti coloro che dicono di avere a cuore i palestinesi e di volerli aiutare, è aprire le porte”.

Dopo le diserzioni, in Israele monta la protesta di civili e militari contro l'occupazione di Gaza City
Fame a Gaza

Netanyahu, risponde così, in maniera provocatoria, alla pressione internazionale degli Stati che lo invitano a lasciare entrare gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza.

Proteste e fratture interne

Le parole di Netanyahu hanno suscitato dure reazioni, non solo a livello diplomatico ma anche all’interno dell’opinione pubblica e dei vertici militari israeliani. Centinaia di veterani dell’aeronautica sono scesi in piazza a Tel Aviv chiedendo la liberazione degli ostaggi e la fine della guerra a Gaza.

Fra loro anche figure di spicco come Yair Aloni, ex pilota di caccia, che ha accusato Netanyahu di "preferire ostaggi morti a ostaggi vivi" per evitare la pressione pubblica.

Uri Arad, ex navigatore di combattimento e prigioniero di guerra durante lo Yom Kippur, ha definito la conquista di Gaza City "un’azione che condanna a morte gli ostaggi ancora vivi" e ha denunciato "atrocità paragonabili a una distruzione totale come Hiroshima".

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Proteste a Tel Aviv

A Tel Aviv, proteste si sono svolte anche davanti all’hotel che ospita la direzione del Gaza Humanitarian Fund (GHF), prima manifestazione in Israele contro questo organismo. I manifestanti chiedono la fine dell’assedio e l’ingresso libero degli aiuti umanitari nella Striscia.

L’opposizione, guidata da Yair Lapid, ha invitato anche i sostenitori del governo a unirsi allo sciopero generale del 17 agosto in solidarietà con le famiglie degli ostaggi:

"Fermatevi un giorno per dire che questa situazione è terribile e non può continuare".

Piazze piene e opinione pubblica divisa

Lo scorso 9 agosto, migliaia di persone hanno manifestato contro il piano di occupazione di Gaza City approvato dal governo. Fra i cartelli esposti, molti ritraevano gli ostaggi di Hamas — circa 20 ancora vivi secondo le stime israeliane — ma non mancavano immagini di bambini palestinesi uccisi nei bombardamenti e appelli al presidente statunitense Donald Trump affinché intervenga per fermare Netanyahu.

I sondaggi indicano che tra il 70 e il 75% degli israeliani vorrebbe porre fine alla guerra e riportare a casa gli ostaggi. Tuttavia, la fiducia nell’IDF resta alta, e la sensibilità verso la crisi umanitaria palestinese rimane minoritaria.

Negli ultimi mesi, però, anche in Israele stanno aumentando le denunce di crimini commessi dall’esercito, complice un cambiamento nella narrazione mediatica, finora quasi esclusivamente incentrata sulla prospettiva militare.

Diserzioni, traumi e suicidi

Dietro le quinte, l’esercito israeliano deve fare i conti con un crescente numero di diserzioni e casi di stress post-traumatico. Uno studio dell’Università di Tel Aviv rileva che oltre il 12% dei riservisti impegnati a Gaza presenta sintomi di disturbo da stress post-traumatico. Molti scelgono di non tornare al servizio, spesso per motivi etici, frustrati dall’assenza di obiettivi chiari e dalla percezione di una guerra senza fine.

Le stime indicano che meno della metà dei riservisti risponde oggi alla chiamata, e circa 12.000 si sarebbero già rifiutati di partecipare alle operazioni. Alcuni alti ufficiali dell’Unità 8200 hanno firmato una lettera in cui annunciano il rifiuto di partecipare a "operazioni chiaramente illegali" e accusano il governo di usare la promessa di un accordo sugli ostaggi per prolungare il conflitto.

Pressioni internazionali e crisi umanitaria

Sul fronte diplomatico, oltre all’Italia, un ampio gruppo di Paesi — tra cui Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Regno Unito, Canada, Australia e Giappone — ha firmato un appello a Israele per consentire il pieno accesso agli aiuti umanitari nella Striscia. Assenti Germania e Ungheria.

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Gaza, popolazione allo stremo

Intanto, i dati forniti dal ministero della Salute di Gaza descrivono una situazione allarmante: 227 persone sono morte per fame e malnutrizione dall’inizio della crisi alimentare, di cui 103 bambini. Solo nelle ultime 24 ore si sono registrati cinque decessi, due dei quali di minori.

Con l’IDF pronto a entrare a Gaza City, la comunità internazionale divisa e una crescente opposizione interna, Netanyahu si trova stretto tra la determinazione a proseguire l’offensiva e l’urgenza di rispondere a pressioni politiche, umanitarie e morali sempre più forti.