Chi non c'è (l'Italia sì) fra i 25 Paesi che hanno chiesto a Israele di fermarsi
Germania e Usa non hanno firmato, ma anche l'Unione europea non ha preso posizione sul cessate il fuoco

Anche l’Italia, per voce del ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha sottoscritto la dichiarazione congiunta di 25 Paesi che invocano un cessate il fuoco immediato, incondizionato e duraturo nella Striscia di Gaza. Un’iniziativa diplomatica che mira a fermare l’escalation di violenza e ad aprire uno spiraglio per l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile palestinese, allo stremo dopo mesi di conflitto.
Tajani ha sottolineato la gravità della situazione:
“Siamo amici di Israele, ma quello che sta accadendo a Gaza è insostenibile. Ogni giorno ci sono troppi morti.” Un appello umanitario che riflette la crescente preoccupazione anche tra gli alleati storici dello Stato ebraico.
Una pressione internazionale sempre più forte
Il documento è stato firmato da 17 Paesi dell’Unione Europea – tra cui Italia, Francia, Spagna, Germania (assente), Austria e Paesi Bassi – e da 8 Paesi extra-europei: Australia, Canada, Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Regno Unito, Svizzera e Giappone. Alla dichiarazione si è unita anche la commissaria europea per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib.
Il testo denuncia apertamente le politiche attuate dal governo Netanyahu nei territori occupati e punta il dito contro la costruzione accelerata di insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, oltre alla crescente violenza dei coloni nei confronti dei civili palestinesi. “Questo deve cessare”, si legge in un passaggio netto della dichiarazione.
No agli insediamenti e allo sfollamento forzato
I ministri degli Esteri firmatari hanno inoltre ribadito la loro ferma opposizione a qualsiasi tentativo di alterare la geografia o la composizione demografica dei Territori Palestinesi Occupati, un chiaro riferimento ai progetti israeliani di espansione degli insediamenti. Il messaggio è inequivocabile:
“Ci opponiamo fermamente a qualsiasi iniziativa volta a modificare il territorio o la demografia nei Territori Palestinesi Occupati”.
Nel mirino anche la proposta israeliana di trasferire forzatamente la popolazione palestinese in una cosiddetta "città umanitaria", giudicata totalmente inaccettabile. I firmatari sottolineano che un tale sfollamento permanente rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale umanitario.

Critiche al controllo sugli aiuti e ai morti tra i civili
Non meno dure le accuse rivolte al sistema di distribuzione degli aiuti adottato da Israele. Secondo i firmatari, l’attuale modello “alimenta l’instabilità, priva i cittadini di Gaza della dignità umana e mette in pericolo la sicurezza stessa della regione”. La dichiarazione condanna esplicitamente la distribuzione limitata degli aiuti e le numerose morti civili, anche tra i bambini, causate dagli attacchi contro persone che cercavano semplicemente acqua e cibo.
"La distribuzione a goccia degli aiuti e l’uccisione disumana di civili che cercano di soddisfare i bisogni più basilari sono inaccettabili", afferma il documento con toni gravi.
Verso nuove azioni, ma restano vaghe
I 25 Paesi dichiarano di essere pronti a “intraprendere ulteriori azioni” per sostenere il cessate il fuoco e avviare un percorso politico di pace per israeliani e palestinesi. Tuttavia, il testo non indica con chiarezza quali misure concrete potrebbero essere adottate: nessuna sanzione, nessun intervento specifico o azione diplomatica è ancora stata formalizzata.
Le grandi assenze e le ambiguità europee
Tra i grandi assenti della dichiarazione spiccano gli Stati Uniti e la Germania. Il mancato sostegno da parte di Washington, in particolare, riflette la posizione tradizionalmente vicina a Israele, al punto che molti osservatori sottolineano come il supporto americano continui a offrire a Tel Aviv una copertura diplomatica pressoché totale, anche quando le operazioni militari colpiscono Stati sovrani e civili innocenti.

L’assenza della Germania, storico alleato sia dell’Unione Europea che dello Stato ebraico, alimenta la percezione di una spaccatura interna al fronte occidentale e complica ogni possibile azione coordinata. Si evidenzia, ancora una volta, la difficoltà dell’Unione Europea nel parlare con una sola voce su una delle crisi umanitarie più gravi del nostro tempo.
Un’Europa divisa, senza una linea comune sul cessate il fuoco
Nonostante il forte segnale lanciato dai 25 firmatari, manca ancora una posizione netta, univoca e vincolante da parte dell’Europa. L’iniziativa appare più come un gesto di dissenso simbolico verso il governo Netanyahu che un piano d’azione concreto e condiviso. In un momento in cui la crisi umanitaria a Gaza richiede risposte urgenti e coordinate, l’Unione Europea continua a mostrare i limiti della sua politica estera: divisa, prudente e priva di una strategia comune.