Work-life balance

Vuoi rimanere in smart working? Google ti paga uno stipendio ridotto

Molti lavoratori di Big G, avrebbero già accettato di ridursi lo stipendio del 10% pur di lavorare permanentemente da remoto.

Vuoi rimanere in smart working? Google ti paga uno stipendio ridotto
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Se sei un dipendente di Google e vuoi restare in smart working, riceverai uno stipendio ridotto. Insomma, durante la pandemia se n'è fatta di necessità virtù, ma chi d'ora in avanti non riuscirà proprio a recidere il cordone ombelicale dal lavoro agile, dovrà accettare di essere pagato meno, anche considerando una serie di minori spese (e fatiche) da affrontare come il viaggio casa-ufficio, i caffè, la pausa pranzo, etc.

Quanto vale lo smart working?

In vista della ripresa di settembre, i vertici di Google stanno definendo il modello di lavoro post-pandemia dei 140mila dipendenti sparsi in tutto il mondo e l'ago della bilancia pare propendere per un modello ibrido.

Big G. sarebbe orientata ad avere il 60% degli impiegati negli uffici solo qualche giorno a settimana mentre il 20% dei dipendenti sarà in nuovi uffici.

Il restante 20% della forza lavoro dovrebbe lavorare direttamente da casa.

Ma la questione sarà strutturata: da giugno Google ha messo a punto uno strumento web (il cosiddetto Work Location Tool) che permette ai singoli dipendenti di calcolare risparmi e possibili variazioni di stipendio in base alla location in cui scelgono di lavorare e vivere.

Ci si chiede quindi quanto ogni dipendente è disposto a rimetterci economicamente pur di lavorare in modo permanente da casa, paventando un taglio dello stipendio per lavorare definitivamente da remoto che si aggirerebbe intorno al 10%.

Lavoratori disposti a ridursi lo stipendio

Alcuni lavoratori stanno valutando, mentre molti hanno già accettato la riduzione di stipendio pur di ottenere un miglior work-life balance, ossia un bilanciamento più equilibrato tra lavoro e vita privata. Fra coloro che scelgono questa opzione vi sono soprattutto pendolari e persone costrette a spendere molto tempo per il tragitto casa-lavoro. Questo compromesso potrebbe dunque rappresentare il modello futuro a cui andremo incontro?

Come si ridisegna il futuro

E senza andare troppo lontano anche in Italia il fenomeno dello smart working ha già inciso significativamente sulle scelte di vita a medio e lungo termine a partire da quelle immobiliari.

Si è assistito infatti ad una fuga verso i piccoli paesi dove la vita non è frenetica e dove non mancano ampi spazi o giardini, grazie alla possibilità di lavorare da remoto.

Nel primo semestre dell'anno sono aumentati gli importi medi dei mutui immobiliari, è scesa l'età media dei richiedenti (uno su tre arriva da persone under 36), e sono aumentate del 7% le ricerche di case nei centri sotto i 250 mila abitanti.

La sindrome della capanna

A completare la panoramica anche un'indagine Uil in Lombardia che rivelato che la metà dei dipendenti non vuole rientrare in ufficio. Parliamo di un campione di popolazione davvero significativo. Se per alcuni le motivazioni potrebbero essere legate semplicemente a pigrizia, comodità, necessità familiari o economiche (come per esempio risparmiare sui viaggi e sul pranzo), altri manifestano - chi in forma più acuta, chi più lieve - una vera e propria sindrome della capanna.

Ma non esiste soltanto la questione patologica, bensì anche una nuova consapevolezza rispetto all'organizzazione della giornata lavorativa. Il sindacato lombardo del settore bancario e assicurativo, segnala ben l'80 per cento di colletti bianchi che eviterebbe di tornare in ufficio. Senza contare tutte quelle aziende che hanno già strutturato l’opzione del lavoro da casa come elemento contrattuale.

 

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