ASSURDO

Stop totale entro il 2027: nel 2024 in Ue speso di più per gas russo che per aiuti a Kiev

Contratti a lungo termine, dipendenze infrastrutturali e boom del Gnl russo: i nodi che tengono ancora l’Europa legata al metano di Mosca

Stop totale entro il 2027: nel 2024 in Ue speso di più per gas russo che per aiuti a Kiev

L’Unione Europea ha compiuto un nuovo passo verso l’azzeramento dei rapporti energetici con la Russia. Il Consiglio europeo ha annunciato il 3 dicembre 2025 di aver raggiunto un accordo con il Parlamento per interrompere completamente le importazioni di gas russo entro il 2027.

Una decisione che segna un punto di svolta: per decenni Mosca è stata il principale fornitore di gas del continente, arrivando a coprire il 40% del fabbisogno dell’intera Unione. Dopo l’invasione dell’Ucraina, i flussi sono stati ridotti ma non azzerati – e questo è uno dei nodi centrali del dibattito attuale.

Il nuovo calendario dello stop

Il testo concordato prevede che i contratti a lungo termine per il gas naturale liquefatto (GNL) russo cessino definitivamente il 1° gennaio 2027, mentre quelli relativi al gas via gasdotto scadranno il 30 settembre dello stesso anno. Saranno vietati prima, già da aprile 2026, gli accordi di fornitura a breve termine per il GNL, e da giugno quelli per le forniture tramite pipeline.

Stop totale entro il 2027: nel 2024 in Ue speso di più per gas russo che per aiuti a Kiev
Vladimir Putin

Nel 2025, nonostante la progressiva riduzione della dipendenza, l’UE ha ancora pagato quasi 10 miliardi di euro per il gas russo: una cifra che spiega perché il confronto politico sulla tempistica sia così intenso.

Perché Bruxelles importa ancora energia russa

L’Europa non ha ancora chiuso ogni canale con Mosca per una serie di motivi tecnici, politici e commerciali.

Secondo Euractiv, molti Paesi dell’Unione continuano a importare uranio dalla Russia per alimentare i propri reattori nucleari: fra questi figurano Finlandia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Bulgaria. La dipendenza non è soltanto infrastrutturale, ma anche politica: Bratislava e Budapest stanno infatti bloccando l’approvazione di un nuovo pacchetto di sanzioni contro il Cremlino.

Il quadro energetico complessivo racconta una realtà sorprendente.

Nel 2024 l’UE ha speso quasi 22 miliardi di euro per importare combustibili fossili russi – appena l’1% in meno rispetto all’anno precedente – una cifra superiore ai 18,7 miliardi di aiuti finanziari destinati a Kiev nello stesso periodo.

Nel frattempo, nonostante il programma REPowerEU, il peso del GNL russo nell’import europeo è cresciuto per via dell’aumento dei prezzi: nel 2024 la quota complessiva del gas russo è tornata a salire, raggiungendo il 19%.

Il paradosso del 2025: import in crescita

Tra gennaio e aprile 2025 le importazioni europee di gas dalla Russia hanno toccato i 5,4 miliardi di euro, con un incremento del 17% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’aumento riguarda in particolare il GNL, passato da 2,5 a 3,3 miliardi di euro, mentre il gas via gasdotto ha subito un leggero calo, da 2,2 a 2,1 miliardi. Nel complesso, la Russia rappresenta ancora il 16,5% delle importazioni totali di gas dell’Unione, confermandosi secondo fornitore europeo dopo gli Stati Uniti.

Il fronte politico: accuse incrociate e dipendenze nascoste

Lo stop completo entro il 2027 non riguarda soltanto le dinamiche di mercato: è un nodo politico che divide profondamente l’Unione. Dall’Ucraina, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha puntato il dito soprattutto contro l’Ungheria, accusata di essere “responsabile del 20% delle forniture che ancora finiscono nelle casse del Cremlino” e sostenendo che Budapest dovrebbe cessare immediatamente di acquistare gas e petrolio russi.

Il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó ha replicato duramente, affermando che l’Ungheria non ha alternative e accusando altri Paesi europei di continuare a comprare petrolio russo “di nascosto”, attraverso triangolazioni che ne modificano la provenienza ufficiale.

A chiarire la complessità del quadro è Francesco Sassi, Postdoctoral Fellow all’Università di Oslo, che ha spiegato ad Adnkronos come molti Paesi europei – non solo Ungheria e Slovacchia – continuino a beneficiare indirettamente di flussi di gas russo attraverso la Turchia o tramite prodotti petroliferi raffinati in Paesi terzi, in particolare l’India.

Una volta immesso nel mercato europeo, l’idrocarburo cambia etichetta:

“Quando la molecola di gas o di greggio arriva in uno di questi Paesi e poi viene riesportata, è ancora russa? Non c’è una risposta univoca”, osserva Sassi, ricordando che certificare l’origine dell’energia non è semplice come farlo con i beni di consumo.

Sovranità energetica, costi e geopolitica

Secondo Sassi, l’argomentazione ungherese per cui le importazioni dalla Russia sarebbero una necessità imprescindibile non è fondata: l’infrastruttura europea permetterebbe al Paese di diversificare, pur con costi maggiori. Per Budapest e Bratislava, però, la questione è soprattutto politica: il tema dell’autonomia energetica si intreccia con la volontà di mantenere un rapporto privilegiato con Mosca.

Il resto d’Europa, pur avendo ridotto drasticamente gli acquisti diretti, non è immune da paradossi. L’accordo siglato da Bruxelles nel luglio 2025, con cui l’UE si impegna a comprare 750 miliardi di dollari di energia statunitense in tre anni, è giudicato da Sassi “contraddittorio e difficilmente sostenibile”, soprattutto ora che la politica energetica americana si è fatta più assertiva dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Questo impegno rischia di lasciare l’UE in una posizione di debolezza negoziale permanente.

Perché liberarsi dalla Russia non sarà semplice

La dipendenza europea dall’energia russa affonda in rapporti costruiti nell’arco di decenni. Un taglio netto e immediato degli approvvigionamenti comporterebbe forti ripercussioni economiche, oltre a possibili cause internazionali con richieste di risarcimento difficilmente sostenibili da Paesi come Ungheria e Slovacchia.

Le sanzioni e la graduale riduzione delle importazioni non hanno finora modificato l’andamento della guerra in Ucraina, ma hanno avviato un processo di ridefinizione geopolitica che coinvolge tanto Mosca quanto Washington.

In un mondo che si sta trasformando più rapidamente della capacità europea di ristrutturare il proprio sistema energetico, Bruxelles dovrà affrontare nei prossimi due anni il passaggio più delicato: eliminare definitivamente le forniture russe, garantendo al tempo stesso sicurezza energetica, stabilità dei prezzi e coesione politica interna. Il 2027 è vicino, ma la strada per arrivarci resta tutt’altro che lineare.