Spoileriamo subito: parliamo di pochi, pochissimi euro. Con l’avvio del 2026 scatta la nuova perequazione delle pensioni, il meccanismo che ogni anno aggiorna gli assegni in base all’andamento dell’inflazione. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha definito per il prossimo anno una rivalutazione dell’1,4% sui trattamenti fino a quattro volte il minimo, pari a 2.413,60 euro lordi mensili. Per questa fascia è previsto l’adeguamento pieno, al 100% dell’inflazione stimata.
Per gli importi superiori, invece, l’aumento sarà ridotto secondo le consuete percentuali decrescenti.
Aumenti pensioni 2026: le percentuali ufficiali MEF
Il decreto MEF del 19 novembre, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, definisce gli scaglioni di rivalutazione:
- Fino a 4 volte il minimo (fino a 2.413,60 €) → +1,4%
- Da 2.413,61 a 3.017,00 € → +1,26% (90% dell’indice)
- Oltre 5 volte il minimo → +1,05%
Come sempre, l’aumento percentuale incide diversamente a seconda dell’importo iniziale: anche un incremento modesto produce un valore nominale più alto sulle pensioni maggiori.
Cosa cambia per gli assegni più bassi
Per chi percepisce importi minimi o poco superiori, l’aumento sarà di poche decine di euro. Al crescere del trattamento, anche la rivalutazione risulta più significativa in termini assoluti, pur rimanendo proporzionata alla percentuale applicata.
Aumenti netti delle pensioni dal 1° gennaio 2026: la simulazione CGIL
Un’analisi elaborata dagli uffici Previdenza della CGIL nazionale e dello SPI CGIL fornisce un quadro degli incrementi netti:
- Pensione 632 € netti → 641 € (+9 €)
- Pensione 800 € netti → 809 € (+9 €)
- Pensione 1.000 € netti → 1.011 € (+11 €)
- Pensione 1.800 € netti → +24 € netti mensili
Gli aumenti reali risultano dunque contenuti, anche per via dell’incidenza delle imposte.
I pensionati con redditi lordi compresi tra 28.000 e 200.000 euro beneficeranno anche del taglio dell’aliquota sul secondo scaglione Irpef, ottenendo così un netto aggiuntivo a partire da gennaio.
Le critiche della CGIL: “Aumenti insufficienti, servono interventi strutturali”
Secondo la CGIL, la rivalutazione 2026 non è sufficiente a compensare la perdita di potere d’acquisto causata dall’alta inflazione del biennio 2022-2023. Il sindacato, in una nota ufficiale, sottolinea inoltre come gli incrementi vengano “quasi del tutto erosi da Irpef e addizionali locali”, riducendo l’impatto reale sulle tasche dei pensionati.
La segretaria confederale Lara Ghiglione e il segretario nazionale SPI CGIL Lorenzo Mazzoli chiedono in particolare che si intervenga su queste tre aree:
- potenziamento e ampliamento della quattordicesima mensilità;
- innalzamento della no tax area per i pensionati;
- misure strutturali per sostenere redditi bassi e prevenire nuove fasce di povertà.
Secondo il sindacato, la condizione degli anziani non può diventare “terreno di propaganda politica”, né il Paese può permettersi di lasciare indietro chi ha lavorato una vita.