Riforma Irpef

Per chi e di quanto aumenta la busta paga da gennaio: cifre e simulazioni

Ma occhio all'effetto fiscal drag: secondo i dati della Cgil c'è ben poco da sorridere

Per chi e di quanto aumenta la busta paga da gennaio: cifre e simulazioni

Dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore la riduzione di due punti dell’aliquota marginale del secondo scaglione Irpef, che passerà dal 35% al 33%. La misura, contenuta nella manovra attualmente in esame parlamentare, riguarda oltre 13 milioni di contribuenti e punta a favorire in particolare la fascia dei redditi medio-alti. L’approvazione è considerata ormai scontata, e gli effetti in busta paga arriveranno tra gennaio e febbraio.

Cosa cambia: i nuovi scaglioni Irpef 2026

Con la riforma, la tassazione per scaglioni sarà così ridefinita:

  • fino a 28.000 euro: 23%
  • da 28.000,01 a 50.000: 33%
  • oltre 50.000 euro: 43%

Il taglio interessa quindi principalmente i redditi tra 28.000 e 50.000 euro, con un beneficio massimo di 440 euro annui, mantenuto fino alla soglia dei 200.000 euro, oltre la quale scatta un meccanismo di neutralizzazione che azzera completamente il vantaggio fiscale.

Gli aumenti in busta paga: i benefici per fascia di reddito

Ecco gli incrementi stimati:

  • 30.000 euro → +40 euro annui
  • 35.000 euro → +140 euro
  • 40.000 euro → +240 euro
  • 45.000 euro → +340 euro
  • 50.000 euro → +440 euro
  • da 50.000 a 200.000 euro → +440 euro
  • oltre 200.000 euro → nessun beneficio

Secondo le elaborazioni governative, il beneficio medio è di circa 210 euro l’anno, con aumenti più rilevanti al crescere del reddito fino alla soglia dei 50.000 euro.

Chi guadagna davvero? I dati dell’Ufficio parlamentare di bilancio

Secondo Lilia Cavallario, presidente dell’Upb, “il 50% del risparmio d’imposta va ai contribuenti con redditi sopra i 48.000 euro, che rappresentano soltanto l’8% del totale”.

Nel dettaglio, il risparmio annuo stimato è:

  • 408 euro per i dirigenti
  • 123 euro per gli impiegati
  • 23 euro per gli operai
  • 124 euro per i lavoratori autonomi
  • 55 euro per i pensionati.

Il costo della misura per lo Stato è di circa 2,7 miliardi di euro.

Il nodo del fiscal drag: la denuncia della Cgil

Ma è tutto oro ciò che luccica? Probabilmente no.

La Cgil mette in evidenza un aspetto spesso trascurato: il drenaggio fiscale (o fiscal drag), cioè l’aumento del carico fiscale dovuto all’inflazione in assenza di indicizzazione degli scaglioni.

Secondo una simulazione dell’Ufficio Economico del sindacato, tra 2023 e 2025 i redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro hanno subito un drenaggio cumulato compreso tra 1.900 e oltre 3.600 euro.

E i benefici della manovra 2026 non compensano minimamente le perdite, come sottolineano gli esempi seguenti, elaborati sempre dalla Cgil:

  • Reddito 30.000 euro → drenaggio 2.807 €, beneficio 40 €
  • Reddito 35.000 euro → drenaggio 3.340 €, beneficio 140 €
  • Reddito 40.000 euro → drenaggio 3.639 €, beneficio 240 €.

Nell’immagine seguente la tabella elaborata dalla Cgil con le simulazioni in base al reddito.

Per la Cgil, senza neutralizzare il fiscal drag, “il Governo non sostiene la classe media, ma ne alimenta l’impoverimento”.

Il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, accusa il Governo di favorire i patrimoni più elevati e di opporsi a interventi redistributivi:

“I milionari e i miliardari sono protetti, come dimostra il no alla nostra proposta di contributo di solidarietà dell’1,3% sui 500.000 contribuenti più ricchi. Avrebbe portato 26 miliardi nelle casse pubbliche.”