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Italia fanalino di coda per la crescita dei salari reali: -7,5% dal 2021

Un declino demografico allarmante: -34% della forza lavoro entro il 2060

Italia fanalino di coda per la crescita dei salari reali: -7,5% dal 2021
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Secondo l’OECD Employment Outlook 2025, l’Italia ha registrato la peggior performance tra tutte le principali economie OCSE in termini di salari reali. Nonostante una ripresa nell’ultimo anno, a inizio 2025 il potere d'acquisto dei lavoratori italiani resta inferiore del 7,5% rispetto ai livelli del 2021. Questo pesante scivolone è imputabile all’impatto dell’inflazione post-pandemica, che ha eroso in modo significativo il valore dei salari.

A livello generale, i salari reali stanno crescendo in quasi tutti i paesi OCSE, ma in metà di essi – inclusa l’Italia – non sono ancora tornati ai livelli pre-Covid.

Un lavoratore su tre è ancora senza aggiornamenti

Il rapporto OCSE sottolinea che, in Italia, il rinnovo dei principali contratti collettivi avvenuto nell’ultimo anno ha portato a incrementi salariali superiori alla media storica. Tuttavia, questi aumenti non sono stati sufficienti per recuperare interamente il potere d’acquisto perso. Ancora più preoccupante è il fatto che, all’inizio del 2025, un terzo dei dipendenti del settore privato risultava coperto da contratti ormai scaduti.

Aumenti salariali sotto la media OCSE

Le previsioni per il 2025 e il 2026 non sono incoraggianti. In Italia, i salari nominali dovrebbero crescere del 2,6% nel 2025 e del 2,2% nel 2026. Questi valori, tra i più bassi dell’area OCSE, garantirebbero solo modesti guadagni in termini reali, tenendo conto di un’inflazione prevista al 2,2% nel 2025 e all’1,8% l’anno successivo.

Un declino demografico allarmante: -34% della forza lavoro entro il 2060

Il quadro si complica ulteriormente se si guarda al lungo termine. Secondo l’OCSE, tra il 2023 e il 2060 la popolazione in età lavorativa in Italia calerà del 34%. Ciò comporterà un drastico aumento del numero di anziani a carico: si passerà da 0,41 a 0,76 per ogni persona in età lavorativa, ovvero da un anziano ogni 2,4 lavoratori a uno ogni 1,3.

Questo squilibrio demografico trascinerà con sé un calo del tasso di occupazione rispetto alla popolazione totale (-5,1 punti percentuali). Se la produttività del lavoro restasse ferma al tasso medio del 2006–2019 (0,31% annuo), il PIL pro capite dell’Italia scenderebbe dello 0,67% ogni anno.

L’OCSE suggerisce misure urgenti: aumentare la partecipazione degli over 55 e colmare almeno due terzi del gap di genere nel mondo del lavoro. Solo così si potrebbe compensare l’effetto dell’invecchiamento demografico sulla crescita economica. Per tornare a una crescita positiva del PIL pro capite, tuttavia, sarà cruciale anche accelerare sulla produttività.

Occupazione da record, ma sotto la media OCSE

Un altro dato significativo riguarda il mercato del lavoro italiano, che ha raggiunto livelli record di occupazione, nonostante il rallentamento dell’economia dal 2022. A maggio 2025, il tasso di disoccupazione è sceso al 6,5%, in calo di 0,1 punti rispetto all’anno precedente e ben 3,1 punti in meno rispetto al periodo pre-pandemico. Tuttavia, resta superiore alla media OCSE del 4,9%.

L’occupazione è cresciuta dell’1,7% su base annua, trainata soprattutto dagli over 55. Ma anche qui c’è un “ma”: il tasso complessivo di occupazione in Italia è ancora ben al di sotto della media OCSE (62,9% contro 70,4%).

L’inattività, pur in calo, resta elevata rispetto agli altri paesi dell’area. Per il futuro, l’OCSE prevede una crescita dell’occupazione più lenta: +1,1% nel 2025 e +0,6% nel 2026, con un tasso di disoccupazione stabile. Tuttavia, in diversi paesi OCSE stanno già riemergendo difficoltà nel trovare personale, riportando il sistema ai livelli pre-Covid.

Lavoratori anziani, il nodo chiave

L’OCSE lancia un chiaro avvertimento: è necessario aggiornare le politiche del lavoro per permettere ai lavoratori di restare attivi più a lungo. L’occupazione cala drasticamente dopo i 60 anni nella maggior parte dei paesi OCSE. Per invertire questa tendenza servono ambienti di lavoro inclusivi, percorsi di formazione continua, pensionamenti flessibili e una domanda di lavoro più solida anche per le età avanzate.

Negli ultimi 20 anni, l’Italia ha fatto progressi rilevanti: il tasso di occupazione per la fascia 55-59 anni è salito di 31,8 punti percentuali, contro una media OCSE di 13,7. Per i 60-64 anni l’incremento è stato di 25,7 punti (contro 20,1% OCSE), grazie soprattutto all’innalzamento dell’età pensionabile.

Tuttavia, l’età effettiva di uscita dal mercato resta ancora inferiore a quella legale: di circa 2 anni per le donne e 1 anno per gli uomini. Inoltre, solo il 9,9% degli italiani tra i 50 e i 69 anni continua a lavorare dopo aver iniziato a ricevere la pensione, contro una media del 22,4% in 24 paesi europei OCSE.

Il lavoro in Italia è spesso fisicamente impegnativo (42% dei casi) e le occupazioni ad alta qualifica, dove l’esperienza viene valorizzata, rappresentano solo il 40%: due ostacoli significativi alla permanenza nel mercato del lavoro per le persone più anziane.