L’economia italiana resta esposta a fattori esterni negativi che minacciano la tenuta del tessuto produttivo. È quanto emerge dall’ultima Congiuntura Flash del Centro Studi di Confindustria (Csc), che individua nei dazi statunitensi e nella svalutazione del dollaro le principali cause del rallentamento dell’export verso gli Stati Uniti.
Secondo il Csc, i nuovi dazi introdotti da Washington potrebbero ridurre nel medio periodo le vendite italiane negli Usa di circa 16,5 miliardi di euro, pari al 2,7% dell’export totale. Gli effetti diretti e indiretti – lungo le catene di produzione europee – si tradurrebbero in un calo del 3,8% dell’export manifatturiero e dell’1,8% della produzione industriale.
Il crollo dell’export e i settori più colpiti
Ad agosto 2025 le esportazioni italiane di beni verso gli Stati Uniti sono crollate del 21,1% rispetto allo stesso mese del 2024, dopo una forte crescita nella prima parte dell’anno dovuta al frontloading (l’anticipo delle importazioni da parte delle aziende americane per evitare le tariffe). Questo calo ha contribuito per oltre due terzi alla contrazione dell’export extra-Ue (-7% tendenziale, -1,1% sul totale mondo).

I comparti più colpiti sono quelli dell’automotive (il più esposto), alimentari e bevande, macchinari, pelli e calzature e altre attività manifatturiere. In particolare, sul fronte agroalimentare pesa la possibile maxi-tariffa sulla pasta italiana, che potrebbe arrivare al 91,74% a partire da gennaio 2026, in seguito a un’indagine antidumping del Dipartimento del Commercio Usa.
L’impatto del dollaro debole e la minaccia di rilocalizzazioni
Oltre ai dazi, il dollaro debole penalizza ulteriormente la competitività dei beni europei negli Stati Uniti, rendendo i prodotti domestici americani più convenienti.
“Nel lungo periodo – avverte Confindustria – è forte l’incentivo a rilocalizzare alcune produzioni nel mercato Usa, con il rischio per l’industria europea di perdere parti vitali del proprio tessuto produttivo”.
Nonostante nel breve periodo la qualità delle produzioni italiane ed europee offra una certa resilienza, un progressivo processo di sostituzione si renderà inevitabile se le tariffe resteranno in vigore e se la capacità produttiva nordamericana (Usa, Messico, Canada) crescerà abbastanza da soddisfare la domanda interna.
L’economia italiana tra consumi deboli e industria in calo
Sul fronte interno, la situazione resta fragile: i consumi crescono solo marginalmente (+0,3% del reddito reale nel secondo trimestre) e prevale il risparmio precauzionale. La produzione industriale ad agosto è scesa del 2,4%, dopo un lieve rimbalzo a luglio (+0,4%), mentre il PMI manifatturiero resta sotto quota 50, in area di contrazione.
Gli investimenti, sostenuti da credito più accessibile e dalla buona tenuta dei beni strumentali, mostrano invece un andamento positivo (+1,6% nel secondo trimestre). I servizi crescono lentamente, trainati dal turismo, ma non compensano la debolezza dell’industria.
Nonostante il calo dei costi energetici e la minore incertezza geopolitica, Confindustria avverte che “i dazi Usa e il dollaro svalutato continuano a erodere l’export”, lasciando il sistema produttivo italiano in una posizione di vulnerabilità. Nel medio periodo, l’export verso gli Stati Uniti rischia di subire un calo del 16,5%, un colpo pesante per uno dei mercati più importanti per il Made in Italy.