Export, più danni dalla crisi della Germania che dai dazi USA. Preoccupa anche il caro energia
Questo quanto emerso dall'analisi di CGIA sull'export italiano: Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana le regioni più a rischio
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La crisi economica che ha colpito la Germania negli ultimi due anni potrebbe continuare a produrre danni significativamente più gravi rispetto all'innalzamento dei dazi da parte dell'amministrazione Trump. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA (Associazione Artigiani e Piccole Imprese), in un report approfondito su questo aspetto economico dell'Italia.
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I danni della crisi tedesca
La crisi economica tedesca - si spiega nell'analisi della CGIA - ha comportato un danno di 5,8 miliardi di euro per il sistema produttivo italiano. Nel 2023, il valore delle esportazioni verso il mercato tedesco è diminuito di 2,7 miliardi, mentre nei primi dieci mesi del 2024 (secondo gli ultimi dati statistici disponibili) la contrazione ha raggiunto i 3,1 miliardi.
Per questo motivo, nonostante numerosi imprenditori e l'opinione pubblica in generale esprimano una marcata preoccupazione per le conseguenze negative che l'introduzione dei dazi da parte del governo statunitense potrebbe arrecare alle nostre imprese esportatrici, la crisi tedesca degli ultimi due anni ha già generato e potrebbe continuare a produrre danni più pesanti.
Infatti, non si può escludere che, come avvenne nel 2019 a seguito dell'implementazione delle barriere commerciali sempre introdotte da Trump, le ripercussioni commerciali negative possano risultare meno gravose di quanto ipotizzato. È vero che nel 2020 le nostre vendite negli Stati Uniti sono diminuite di 3,1 miliardi; tuttavia, è probabile che tale calo sia stato principalmente influenzato dal crollo del commercio mondiale causato dall'insorgere della pandemia di Covid-19, piuttosto che dai dazi "innalzati" dal governo statunitense.
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Esportazioni in crescita, con dazi a rischio medicinali e auto
Ad eccezione del 2020 - anno caratterizzato dall’innalzamento negli USA dell’aliquota daziale media al 10 per cento sui prodotti importati e dagli effetti del Covid - l’export italiano verso gli Stati Uniti è infatti in costante crescita dal 2010. Se quindici anni fa esportavamo prodotti per 20,3 miliardi di euro (pari al 6 per cento dell’export nazionale totale), nel 2023 abbiamo toccato i 67,2 miliardi di euro (10,7 per cento del totale) di export verso gli USA, che diventano così, dopo la Germania, il secondo Paese per destinazione dei nostri prodotti.
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Pur collocandosi sempre sul secondo gradino del podio, nei primi 10 mesi del 2024 (ultimo dato in cui le statistiche sono disponibili), rispetto allo stesso periodo del 2023, le nostre vendite negli USA sono diminuite di quasi 1,5 miliardi di euro (-2,7 per cento); una contrazione in termini percentuali più contenuta rispetto al crollo registrato verso la Germania (-4,9 per cento), ma superiore a quello riconducibile con la Francia (-2,1 per cento).
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Secondo l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), l’eventuale introduzione di dazi al 10% sull’intera gamma dei prodotti e dei servizi importati dall’UE, provocherebbe una riduzione in termini economici delle esportazioni italiane verso gli USA pari a 3,5 miliardi di euro che salirebbe a 10/12 miliardi nel caso l’aliquota fosse elevata al 20%.
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Quasi sicuramente i settori più penalizzati sarebbero quelli che ad oggi hanno un tasso di penetrazione nel mercato statunitense più significativo. Ricordiamo, infatti, che nel 2023 le vendite di medicinali e di prodotti farmaceutici hanno cubato 7,7 miliardi di euro, gli autoveicoli 4,9 e le navi/imbarcazioni 4,2. Seguono i macchinari, le bevande (in particolare i vini), i prodotti petroliferi e l’abbigliamento.
Le regioni più a rischio
Le aree regionali più vocate all’export verso gli USA sono la Lombardia (14,2 miliardi), l’Emilia Romagna (10,4), la Toscana (9,1), il Veneto (7,5) e il Piemonte (5,5). Complessivamente, la quota esportata da queste cinque realtà territoriali sul totale nazionale verso gli USA sfiora il 70 per cento. È significativo il dato riconducibile alla Campania che esporta ben 2,6 miliardi (tra auto, prodotti alimentari e aeromobili). Un importo, quest’ultimo, leggermente superiore a quello riferito al Lazio.
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Come detto, il Paese a stelle e strisce rappresenta il secondo mercato di sbocco per le esportazioni italiane, con un valore annuale che supera i 67 miliardi di euro, pari al 10,7 per cento dell’intero export nazionale. Il numero degli operatori commerciali italiani attivi negli Stati Uniti è relativamente contenuto, ammontando a poco meno di 44mila unità; a questo dato, però, si devono aggiungere anche le imprese dell'indotto che, purtroppo, non sono contabilizzate nelle statistiche Istat.
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Preoccupa il caro energia
Gli aumenti del prezzo del gas verificatisi in queste prime settimane dell’anno non lasciano presagire nulla di buono e, secondo le stime dell’Ufficio studi della CGIA, nel 2025 le bollette potrebbero costare all’intero sistema imprenditoriale italiano ben 13,7 miliardi di euro in più rispetto al 2024, pari a un aumento del 19,2 per cento. In totale, la spesa complessiva dovrebbe toccare gli 85,2 miliardi: di questi, 65,3 sarebbero per l’energia elettrica e 19,9 per il gas.
A pagare il conto più salato dovrebbero essere le imprese del Nord. Questa ripartizione geografica, infatti, “ospita” buona parte dello stock delle imprese presenti nel nostro Paese e, conseguentemente, dovrà farsi carico della quota parte di aumento più consistente; praticamente quasi due terzi dell’aggravio complessivo. Queste stime si basano su un’ipotesi del prezzo medio dell’energia elettrica nel 2025 di 150 euro per MWh e del gas a 50 euro per MWh; mantenendo così una proporzione di tre a uno tra le due tariffe, come si è verificato nei due anni precedenti
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Per quanto riguarda i consumi, si è fatto riferimento ai dati del 2023 e si è ipotizzato che rimangano costanti anche nei successivi due anni. Se analizziamo questo costo aggiuntivo stimato di 13,7 miliardi di euro per quest’anno, notiamo che quasi 9,8 miliardi (+17,6 per cento rispetto al 2024) riguarderebbero l’energia elettrica e 3,9 miliardi (+24,7 per cento) il gas. In buona sostanza, tra le preoccupazioni legate ai dazi, gli impatti della crisi in Germania e l'aumento dei costi energetici, il panorama complessivo continua a presentarsi con sfumature piuttosto cupe.