Per anni Salvatore Aranzulla è stato il simbolo del successo digitale italiano. Partito da una cameretta, ha costruito un vero e proprio impero editoriale: il suo sito, Aranzulla.it, è diventato un punto di riferimento per chi cerca soluzioni informatiche e consigli pratici. La sua forza è sempre stata una straordinaria conoscenza del SEO, cioè delle regole che permettono di posizionarsi in cima ai risultati di Google.

Aranzulla: “L’IA di Google ci penalizza”
Ma qualcosa sta cambiando. In diverse interviste recenti – tra cui una a Fanpage e una al Fatto Quotidiano – Aranzulla ha raccontato che il traffico del suo sito è crollato del 25% in pochi mesi. Il motivo? L’arrivo di Google AI Overview, la nuova funzione basata sull’intelligenza artificiale generativa, introdotta nel maggio 2025.
Questa tecnologia mostra in cima ai risultati di ricerca dei riassunti automatici delle informazioni prese dal web. In pratica, Google risponde direttamente alle domande degli utenti con un testo sintetico, senza che questi debbano più cliccare sui siti da cui provengono le informazioni. Il risultato è che gli utenti restano su Google, mentre i siti originali perdono visite.
Per un portale come Aranzulla.it, che vive di pubblicità legata alle visualizzazioni, questo è un colpo durissimo: meno clic significano meno guadagni.
Lui riassume così il problema:
“Per anni c’è stato un patto implicito tra Google e gli editori. Noi offriamo contenuti gratuiti, Google ci porta traffico in cambio. Ora però, se chiedi ad esempio “qual è lo smartphone migliore” e magari scrivi anche “Aranzulla”, Google mostra un testo che rielabora le nostre valutazioni, ma senza rimandare al mio sito. Questo rompe quel patto”.
Secondo Aranzulla, il rischio è esistenziale per gran parte del settore digitale, soprattutto per le realtà più piccole che non hanno margini di sicurezza.
“È una minaccia per il 90% dei lavori digitali”, avverte.
Meno traffico significa meno pubblicità, quindi meno risorse per creare nuovi contenuti. E se i contenuti originali diminuiscono, anche l’IA – che da essi attinge – finisce per impoverirsi.
L’imprenditore, che oggi gestisce una struttura snella con collaboratori esterni, riesce ancora a mantenere un certo equilibrio. Ma avverte che nel lungo periodo non si può andare avanti così:
“Serve una nuova intesa tra Google e gli editori, altrimenti il web per come lo conosciamo rischia di sparire”.

Un problematica diffusa
I dati confermano il fenomeno. Secondo SimilarWeb, i siti di guide e tecnologia in Italia ed Europa hanno perso tra il 20% e il 30% del traffico da Google dopo l’introduzione dell’AI Overview. Anche analisi indipendenti di SEMrush segnalano un calo medio del 15% delle impressioni organiche per le ricerche più “conversazionali”.
Google, dal canto suo, nega un impatto negativo: sostiene che l’intelligenza artificiale generativa aumenti la visibilità complessiva dei siti, grazie ai link inseriti nei riassunti. Ma molti editori non condividono questa visione.
Anche la FIEG, la Federazione Italiana Editori Giornali, ha chiesto all’Unione Europea di intervenire con norme che obblighino le piattaforme a riconoscere un compenso per l’uso dei contenuti negli strumenti di intelligenza artificiale. Si tratta di un passaggio chiave nella trasformazione dei motori di ricerca in “motori di risposte”: per gli utenti il vantaggio è la rapidità, ma per chi produce informazioni il sistema rischia di diventare insostenibile.
“Una nuova forma di monetizzazione c’è”
Nonostante le difficoltà, Aranzulla non si limita alla denuncia. Sta cercando una nuova via di sostenibilità per il mondo dell’editoria digitale.
Secondo lui, la soluzione potrebbe essere un sistema di remunerazione legato all’uso dei contenuti da parte dell’intelligenza artificiale. In pratica, ogni volta che un testo o un’informazione di un sito viene utilizzata da un modello IA per generare una risposta, l’autore o l’editore dovrebbe ricevere un compenso.
“Esistono già modelli che funzionano così: gli accessi vengono monitorati e, per ogni pacchetto di utilizzi, viene riconosciuta una somma. È una soluzione ideale, anche perché mantenere un sito ha dei costi, e se a consultarlo sono i bot invece che le persone, il sistema non regge”, ha spiegato il 35enne.
Un meccanismo di questo tipo tutelerebbe sia i creatori di contenuti sia le stesse aziende che sviluppano intelligenze artificiali. Oggi, infatti, strumenti come ChatGPT o Gemini si basano su enormi quantità di informazioni pubblicate online. Ma se chi scrive e pubblica smette di guadagnare, rischia di smettere anche di produrre.
L’esperto di digitale pone infine l’accento su un possibile cortocircuito:
“Se nessuno ha più interesse a creare contenuti, su cosa si baseranno le risposte dell’intelligenza artificiale?“.
Il messaggio è chiaro: per garantire un futuro sostenibile al web serve un nuovo equilibrio tra chi produce conoscenza e chi la utilizza. Senza di esso, l’intelligenza artificiale finirà per consumare la fonte da cui oggi trae la propria forza: i contenuti umani.
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