Sessant'anni fa un uomo fece la prima passeggiata spaziale della storia (e fu un traguardo russo)
Il 18 marzo 1965, il cosmonauta sovietico Aleksej Leonov lasciava la sicurezza della navicella Voschod 2 e si librava nel vuoto cosmico

Oggi, 18 marzo 2025, ricorre un anniversario che segna una pietra miliare nell’esplorazione dell’ignoto. Sessant’anni fa, il 18 marzo 1965, il cosmonauta sovietico Aleksej Leonov lasciava la sicurezza della navicella Voschod 2 e si librava nel vuoto cosmico, sospeso tra la Terra e l’infinito. Per la prima volta nella storia, un essere umano fluttuava libero nello spazio, dando inizio all’era delle passeggiate spaziali, le celebri EVA (Extra Vehicular Activity). Gli Stati Uniti avrebbero seguito questa impresa solo pochi mesi dopo, con Edward White e la missione Gemini 4.
Una ricorrenza quanto mai attuale, considerando che oggi, l’umanità intera è sospesa sulla soglia di una nuova era, pronta a compiere il prossimo grande balzo verso il Pianeta Rosso. Come promesso dal presidente Usa Donald Trump e dal magnate Elon Musk.
Il primo passo nel vuoto: 60 anni dalla prima passeggiata spaziale
La Voschod 2 venne lanciata dal cosmodromo di Bajkonur, oggi in Kazakistan, con una missione ben precisa: portare a termine la prima attività extraveicolare prima degli americani. La navicella, progettata per ospitare tre astronauti, fu modificata per lasciare spazio a una camera di decompressione, una sorta di chiusa che permetteva all’astronauta di uscire e rientrare senza compromettere la pressurizzazione della capsula.

La chiusa consisteva in un portello e un tubo espandibile lungo circa 2,5 metri e dal diametro di un metro. Una volta raggiunta l’orbita, la struttura si estendeva verso l’esterno, permettendo a Leonov di avventurarsi oltre i confini della navicella, ancorato soltanto da un cavo di sicurezza. In quei momenti carichi di tensione e meraviglia, Leonov sperimentò la vertigine del vuoto e la grandezza dell’universo, ma anche le difficoltà dell’assenza di gravità: la sua tuta, gonfiata dalla pressione interna, rese il rientro nella capsula un’operazione drammatica e rischiosa.
Un salvataggio per il rotto della cuffia
La prontezza, il sangue freddo e la preparazione di Leonov consentirono alla missione di finire in trionfo, al posto che in tragedia. Dapprima, all'uscita dalla camera di compensazione, l' russo si trovò per qualche secondo ad avvitarsi in maniera incontrollata. Inoltre al momento di tornare a bordo la tuta spaziale Berkut, la prima creata appositamente per supportare un'attività extraveicolare, si era gonfiata al punto da non permettere il passaggio nello stretto abbaino col portello dell'abitacolo della capsula spaziale. Lo scarico di pressione dall'interno della tuta spaziale fu la soluzione che fece riuscire la manovra e salvò la vita di Leonov.
“Sapevo che non dovevo farmi prendere dal panico”, confessò nel libro scritto nel 2004 assieme all’astronauta americano David Scott, “Two Sides of the Moon”. "Quando entrai dentro la capsula ero sudato fradicio e il cuore mi batteva all’impazzata".
L'uomo divenne una sorta di eroe nazionale, il 23 marzo 1965, fu insignito del titolo di Eroe dell'Unione Sovietica, dell'Ordine di Lenin e della Stella d'oro.
Alla sua morte, nel 2019, all'età di 85 anni, il presidente russo Vladimir Putin lo ha definì “grande uomo”, celebrandone il “coraggio”.
La missione
L’equipaggio della missione, ufficializzato il 9 febbraio 1965, era composto da Leonov, incaricato della passeggiata spaziale, e dal comandante Pavel Ivanovič Beljaev. Il loro viaggio si inseriva in una frenetica corsa allo spazio tra le due superpotenze mondiali. In quegli anni, l’Unione Sovietica vantava una serie di primati: il primo satellite in orbita, il primo uomo nello spazio, la prima donna tra le stelle. Gli Stati Uniti, invece, avrebbero compiuto la loro mossa vincente nel 1969, con l’allunaggio dell’Apollo 11, affermandosi definitivamente nella gara per la conquista del cosmo.
Verso il pianeta rosso
Sessant’anni dopo, la sete di esplorazione dell’umanità non si è affievolita, anzi, si spinge ancora oltre. Oggi, più che mai, lo sguardo è rivolto verso Marte, il prossimo obiettivo delle ambizioni spaziali. Un anniversario come quello di Leonov risuona con forza nel presente, in un’epoca in cui le promesse dell’uomo più potente del mondo e la determinazione del più visionario degli imprenditori potrebbero trasformare la fantascienza in realtà.
Oggi, Elon Musk, il suo alleato più influente, ha fissato date e obiettivi. Il fondatore di SpaceX prevede il primo lancio di Starship verso il pianeta rosso già per la fine del 2026, trasportando il robot umanoide Optimus. Se le prime missioni avranno successo, i primi esseri umani potrebbero seguire tra il 2029 e il 2031.

"Starship partirà per Marte verso la fine dell'anno prossimo, trasportando Optimus. Se questi atterraggi andranno bene, allora quelli umani potrebbero iniziare già nel 2029, anche se il 2031 è più probabile", ha annunciato Musk sul suo social network X.
Ma Musk guarda ancora più lontano: ha già delineato il progetto per le prime città umane su Marte, immaginando un’escalation esponenziale nei lanci spaziali con l’obiettivo di costruire una colonia autosufficiente entro i prossimi vent’anni. Un sogno titanico che, come la prima passeggiata di Leonov, potrebbe segnare un punto di non ritorno nella storia dell’umanità.