Uccise la sua psichiatra: Gianluca Paul Seung non vuole l'infermità mentale per portare avanti la sua "battaglia" complottista
"Ha chiari i vantaggi di un riconoscimento dell’infermità mentale. Ma non vuole una difesa che lo renderebbe poco attendibile. Lui fa una battaglia di principio"
Non vuole l'infermità mentale. Nel suo mondo di farneticazioni e complotti Gianluca Paul Seung - il 36enne di Torre del Lago, provincia di Lucca - accusato di aver massacrato la psichiatra Barbara Capovani, davanti al reparto che lei dirigeva il 21 aprile 2023, pare intenzionato a portare avanti la propria battaglia "di principio" contro la Psichiatria. Battaglia per la quale si sarebbe scagliato contro la professionista ma, racconta, solo per spregio: "Non intendevo ucciderla".
Una vendetta personale, insomma, che l'imputato rivendica. Sfuggita di mano. Nell'ambito del processo a sua carico, in corso, l'uomo ha riferito ai consulenti dei giudici che non voleva uccidere Capovani, ma a un certo punto una donna ha urlato e lui si è “distratto” e ha “colpito più forte” di quanto avesse voluto.
Un'aggressione fotocopia, dunque, secondo la sua versione, a quella perpetrata nel 2012 a danno del suo medico, Mirko Martinucci. Colpito alle spalle mentre pranzava con le moglie: se l'è cavata con ventidue punti di sutura e la frattura del setto nasale.
Un quadro inquietante che rivela una causa, fortemente sentita dal 36enne, quella contro la medicina ufficiale che lo spinse anche ad aprire una pagina Facebook dell’associazione da lui fondata: Adup, contro la psichiatria. Dettaglio ancor più inquietante? Questa pagina aveva dei follower.
Psichiatra uccisa: Gianluca Paul Seung rivendica la sua lotta paranoica
Per gli psichiatri Stefano Ferracuti e Renato Ariatti, consulenti della Corte d’assise, rendono noto che
"Pur avendo riscontrato una quota di patologia per l’imputato non si può giungere a un giudizio di infermità o di semi infermità”.
Per i medici, dunque, quando Gianluca Paul Seung ha ucciso la dottoressa Capovani era capace di intendere e volere ed è di conseguenza imputabile.
Il dato che sorprende è che l'imputato stesso non desidera l'infermità mentale, come spiegano gli esperti:
“Ha chiari i vantaggi di un riconoscimento dell’infermità mentale. Ma non vuole appiattirsi su una difesa che lo renderebbe poco attendibile. Lui fa una battaglia di principio di cui è la bandiera. Il suo risentimento non era legato solo alla dottoressa, ma a quel mondo della psichiatria ufficiale, che lui combatte".
I due consulenti, ascoltati nelle scorse ore, erano stati incaricati di integrare la perizia sul 36enne che sui social si definiva “sciamano” e che ha scelto di parlare a questo punto del processo e davanti ai periti e non in aula, anche questo rappresenterebbe una strategia lucida.
E ancora:
“Ha preso un bersaglio simbolico, la dottoressa, la persona che rappresentava la psichiatria, per dare un segnale forte alla sua comunità”.
Il mondo complottista
Indicativo quando i due professionisti rammentano che il 36enne era:
“Riconosciuto in questo ruolo, è stato invitato in passato e ha partecipato a convegni di una certa psichiatria che contesta quella ufficiale. C’è un mondo che ragiona come lui”, e parla di complotti.
E ancora:
“Parte da elementi reali che lo riguardano ai quali nel tempo ingloba scenari che catturino l’attenzione e funzionino da palcoscenico, ha bisogno di attenzione avendo lui una personalità narcisistica”.
Insomma, quel sottobosco di complottisti, spesso fomentati dal web, deve averlo galvanizzato. Riconoscendogli, in qualche modo, un ruolo di "portare di verità scomode" contro il sistema. Stereotipo assai diffuso fra i paranoici, affamati di nuovi Messia, come dimostra l'assidua frequentazione dei canali social di Quanon.
Un'escalation, testimoniata proprio da quei farneticanti profili social.
Su Facebook Seung si definiva "uno sciamano, mediatore fra invisibile e visibile; collego le dimensioni". Aveva anche creato una pagina intitolata Associazione Adup ovvero “Associazione difesa utente psichiatrico” dove pubblicava foto di atti giudiziari. 140 seguaci su Facebook, naturalmente tutti contrari alla medicina ufficiale. Lui partecipa a convegni di questo tenore e si sente sempre più legittimato.
Farneticazioni social
Seung vedeva complotti dappertutto: dietro la pandemia, ma anche nella guerra in Ucraina. Aveva presentato un esposto contro l'allora premier Mario Draghi. Postava le sue disavventure giudiziarie, compresi arresti domiciliari, condendole sempre con invettive contro la magistratura.
Scriveva di bambini mangiati dagli psichiatri e ricollegava la sparizione di Denise Pipitone ai dottori della salute mentale.
Su Matteo Messina Denaro non aveva dubbi: aveva la protezione delle più alte cariche dello Stato.
E poi ancora:
"Le staminali sono vendute da: Putin, Zelensky, Barabara Capovani, psichiatri Ucraini".
"Ero a una conferenza sulle buone pratiche in psichiatria”.
Era il 29 gennaio 2018. Scriveva così in un post ai suoi follower, quell'esercito di cartapesta, un manipolo, per la precisione, verso il quale si sentiva (ed evidentemente ancora si sente) un faro.
Il processo
I legali dell’accusato, durante la discussione che comincerà il 16 ottobre 2024, riferiranno le osservazioni della loro consulente, la dottoressa Maria Tiziana Neri.
Resta la morte della dottoressa Capovani, sullo sfondo di questa pagina di cronaca che mostra il mix letale di paranoia fomentata dai social. Seung, dopo averla picchiata con violenza, le avrebbe gettate poco dopo in un contenitore per il riciclo degli indumenti. Ultimo atto di spregio verso un'intera categoria professionale a forte rischio.
I numeri
Da un'indagine preliminare condotta dal Coordinamento Nazionale dei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), su 2600 professionisti della salute mentale, di cui 1400 psichiatri: il 49% ha subito violenza (dalla semplice spinta all'aggressione vera e propria) durante il lavoro nel corso degli ultimi due anni (il 27% più di una volta), il 74% ha subito minacce verbali da parte di pazienti durante il lavoro nel corso degli ultimi tre mesi (il 52% più di una volta), il 57% degli psichiatri sente a rischio la propria incolumità sul lavoro.
E i numeri confermano che, in questo caso, non si tratta di una paranoia.