A un mese dall’avvio del processo di secondo grado, arriva un colpo di scena inatteso nel caso giudiziario che ha sconvolto l’Italia: Filippo Turetta, il giovane reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin, ha deciso di rinunciare all’appello e di accettare la condanna all’ergastolo inflitta dalla Corte d’Assise di Venezia nel 2024.
“Rinuncio all’appello, voglio pagare interamente per l’omicidio di Giulia Cecchettin”.
È questa la frase con cui Turetta, in una lettera scritta a mano e firmata di suo pugno, ha comunicato la propria decisione. Con quel messaggio, indirizzato ai quattro uffici giudiziari veneziani coinvolti nel caso — la Procura generale, la Procura ordinaria, la Corte d’Assise e la Corte d’Appello — il 23enne ha di fatto posto fine al suo percorso giudiziario, rinunciando a qualsiasi riduzione di pena.

La notizia, diffusa dal Corriere della Sera, arriva a meno di un mese dall’inizio del processo di secondo grado, previsto per il 14 novembre 2025 davanti alla Corte d’Appello di Venezia.
Gino Cecchettin, padre della vittima, commenta:
“Non me l’aspettavo. È una scelta che mi lascia proprio spiazzato. Non so cosa ci sia dietro, ma immagino che voglia trovare una forma di pace“.
“Un sincero pentimento”: le motivazioni della rinuncia
Secondo quanto trapela, la decisione di Turetta sarebbe maturata nelle ultime settimane, all’interno del carcere di Montorio (Verona), dove il giovane era detenuto in un clima sempre più teso. Le minacce e gli episodi di violenza subiti da altri detenuti, tra cui un’aggressione fisica, avrebbero contribuito a spingerlo verso una scelta definitiva.
Nella sua lettera, il 23enne parla di “sincero pentimento” e di un desiderio di espiare completamente la pena, precisando di “non voler cercare sconti”. Una presa di posizione che segna una netta distanza dalle linee difensive sostenute fino a pochi mesi fa dai suoi legali, Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, i quali avevano presentato ricorso chiedendo l’esclusione dell’aggravante della premeditazione e la concessione delle attenuanti generiche, anche in virtù della collaborazione prestata dall’imputato durante le indagini.
Il contrasto con la linea della difesa e l’appello della Procura
La rinuncia di Turetta smentisce quindi, nei fatti, la strategia difensiva impostata dai suoi avvocati. Tuttavia, il processo d’appello non si fermerà, almeno formalmente: resta infatti valido il ricorso presentato dalla Procura della Repubblica di Venezia, che aveva impugnato la sentenza di primo grado chiedendo il riconoscimento delle aggravanti della crudeltà e dello stalking.

Secondo l’accusa, i 75 colpi inferti a Giulia nella notte dell’11 novembre 2023 e gli atti persecutori commessi nei mesi precedenti — caratterizzati da un controllo ossessivo, centinaia di messaggi quotidiani e oltre 225mila interazioni digitali — avrebbero dovuto configurare un comportamento “crudele” e “persecutorio”.
Nelle 145 pagine di motivazioni depositate l’8 aprile scorso, la Corte d’Assise aveva però escluso la crudeltà, sostenendo che l’efferatezza del delitto fosse da ricondurre piuttosto all’“inesperienza e immaturità” del giovane assassino. Una conclusione che la Procura veneziana ha contestato, ritenendola troppo indulgente e incompatibile con la dinamica dell’omicidio.
Con la rinuncia di Turetta, dunque, l’appello potrà proseguire solo per le parti sollevate dall’accusa, limitandosi ai due punti contestati dalla Procura.
La reazione di Gino Cecchettin
Gino Cecchettin ha reso noto di essere rimasto spiazzato dalla decisione di Turetta:
“Dal mio punto di vista cambia ben poco. Non c’è nulla al mondo che possa farmi stare meglio. Io non potrò mai gioire di nulla, perché dietro c’è una tragedia troppo grande. Qualsiasi cosa succeda, io sono condannato a non rivedere Giulia.”
A Turetta “serve qualcuno che lo accompagni in un percorso vero, dentro se stesso. Penso che vada seguito, che sia necessario stargli vicino”, ha concluso.
L’ipotesi della giustizia riparativa
La scelta di rinunciare all’appello potrebbe avere anche un’altra motivazione: ottenere l’accesso a un percorso di giustizia riparativa, già ipotizzato nei mesi scorsi e accolto con forte disapprovazione dal padre di Giulia, Gino Cecchettin.
Cecchettin, che in più occasioni ha ribadito la propria fede nella giustizia e nel perdono, aveva però espresso dubbi profondi sulla tempistica e sulla sincerità della richiesta avanzata da Turetta.
“Io credo nella giustizia riparativa, e lo dico da cittadino, a prescindere da quello che mi è successo. Però è un percorso che deve passare attraverso l’autoconsapevolezza, prima attraverso le scuse e poi alla richiesta di perdono. Tutto questo percorso non è iniziato”, aveva dichiarato.
E aveva aggiunto:
“Filippo ha sbagliato e ha fatto del male, tanto male. Deve partire dalla consapevolezza di ciò che ha fatto. La consapevolezza ti porta alle scuse, che non sono arrivate mai, e poi a una richiesta di perdono eventuale, che neanche questa è arrivata”.

Parole che pesano e che danno la misura del dolore ancora vivo della famiglia Cecchettin, la quale ha seguito con discrezione, ma con profonda dignità, ogni fase del processo.
Il femminicidio che ha sconvolto l’Italia
L’omicidio di Giulia Cecchettin, studentessa di 22 anni, avvenne l’11 novembre 2023 a Fossò, nella provincia di Venezia. La giovane era uscita di casa con Filippo Turetta, ex fidanzato e collega universitario, per recarsi in un centro commerciale di Marghera.

Dopo la cena, la ragazza non fece più ritorno a casa. Le indagini successive ricostruirono un quadro di ossessione e controllo, culminato in una lite violenta durante la quale Turetta colpì Giulia con decine di coltellate. Le immagini delle telecamere di sorveglianza mostrarono l’aggressione e il momento in cui l’uomo caricava il corpo esanime nel bagagliaio della sua auto.
Dopo giorni di fuga tra Veneto, Friuli e Austria, Turetta fu infine arrestato in Germania, il 18 novembre, mentre era fermo con l’auto rimasta senza benzina lungo l’autostrada A9. Poco dopo, confessò l’omicidio.

Con la sua decisione di rinunciare all’appello, Filippo Turetta chiude — almeno per sé — un capitolo giudiziario che ha segnato profondamente la coscienza collettiva del Paese.
Resta ora da capire se la Procura proseguirà la propria impugnazione per far riconoscere la crudeltà e lo stalking come aggravanti. L’udienza del 14 novembre, in ogni caso, si terrà: sarà un passaggio tecnico, ma anche un momento simbolico nella lunga ricerca di giustizia per Giulia Cecchettin, la cui memoria continua a rappresentare un monito contro la violenza di genere e un richiamo alla consapevolezza collettiva.