la testimonianza

Strage di Capaci, il racconto del sopravvissuto

Gabriel Eberhard e la moglie Eva viaggiavano nell'auto accanto a quella di Falcone quando avvenne l'esplosione. Il suo ricordo.

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L'auto (rossa) su cui viaggiava la coppia austriaca

Tra le auto coinvolte nella strage di Capaci c'era anche la sua. Gabriel Eberhard, neuropsichiatra austriaco per una vita direttore dell'ospedale neuropsichiatrico di Vienna, oggi ha 86 anni. La sua vita e quella di sua moglie avrebbero potuto terminare esattamente trent'anni fa, nell'esplosione in cui morì Giovanni Falcone.

Strage di Capaci, il racconto del sopravvissuto

Eberhard si trovava a Palermo per un convegno. Colse l'occasione per visitare la Sicilia: con la moglie Eva arrivò il venerdì 22 maggio 1992 e il giorno seguente la coppia si recò a Cefalù per visitare la cattedrale. Sulla via del ritorno, alle 17.58, successe l'inaspettato. La loro auto viaggiava accanto a quella di Falcone e rimase coinvolta nello schianto, ribaltandosi.

Gabriel Eberhard
Gabriel Eberhard

"Ho sentito il boato, ma ovviamente in quel preciso istante non potevo immaginare si trattasse di un attentato. Ho pensato che fosse esploso qualcosa nell'auto o che fossimo stati colpiti da un masso. Ma l'esplosione era troppo forte.   Poi abbiamo perso conoscenza per qualche istante. Quando ci siamo risvegliati, sdraiati sul fianco dentro l'auto capovolta, la prima cosa che abbiamo fatto io e mia moglie è stato chiederci a vicenda 'riesci a muovere tutto?'".

"Non abbiamo avuto il tempo di temere di morire. Appena abbiamo riacquistato conoscenza era chiaro che eravamo sopravvissuti, a prescindere da cosa fosse successo. Sapevamo di essere nella carcassa di un'auto, qualcuno ci ha aiutato a uscire. Solo allora abbiamo saputo che si era trattato di un attentato. Poi sono arrivati i soccorsi e ci hanno portato in ospedale".

Il ricordo ancora vivo

Come testimone sopravvissuto all'attentato, anche il neuropsichiatra austriaco fu chiamato al processo di Caltanissetta.

"Ricordo un'aula molto grande, creata appositamente per quel processo. Da una parte c'erano celle singole e in ognuna c'era seduto un mafioso. Oggi non posso dire di provare odio per loro".

Quel giorno ha segnato profondamente - e non potrebbe essere altrimenti - la sua esistenza:

"L'evento ci ha scossi, non tanto perché eravamo rimasti coinvolti, ma per quello che ha rappresentato. Falcone era un emblema anche per noi. Non ci siamo portati dietro traumi perché ci è stato subito chiaro che sarebbe potuta andare molto peggio: saremmo potuti morire".

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