Intervista al Sun

Rudy Guedè affonda su Amanda: "Lei sa la verità". Il marito di Knox: "Vergogna"

L'ivoriano è tornato libero dopo aver scontato 13 anni come unico colpevole della morte di Meredith Kercher e continua a professarsi innocente.

Rudy Guedè affonda su Amanda: "Lei sa la verità". Il marito di Knox: "Vergogna"
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A Perugia, la sera del 1º novembre 2007, la studentessa inglese Meredith Kercher, venne ritrovata priva di vita con la gola tagliata nella propria camera da letto, all'interno della casa che condivideva con altri studenti. Per l'omicidio è stato condannato in via definitiva con rito abbreviato il cittadino ivoriano Rudy Guedè. In primo grado, come concorrenti nell'omicidio, furono condannati dalla Corte d'assise di Perugia nel 2009 anche la statunitense Amanda Knox e l'italiano Raffaele Sollecito. I presunti coautori del delitto furono successivamente assolti nel 2011. Oggi, l'unico colpevole davanti alla legge per la morte di Meredith è un uomo libero: Guedé è appena uscito dal carcere, dove ha scontato i 13 anni di condanna. In un’intervista esclusiva torna sul delitto, ribadendo la propria innocenza:

"Avevo le mani insanguinate perché ho cercato di salvarla, non di ucciderla. Io so la verità e anche Amanda Knox, la conosce".

Rudy Guedè: "Amanda sa la verità"

Guedè, oggi 34enne, è un fiume in piena nell'intervista rilasciata al Sun:

"La prima cosa che voglio dire è rivolta alla famiglia di Meredith, ovvero quanto io sia dispiaciuto per la perdita che hanno dovuto subire. Ho scritto loro una lettera per spiegare quanto sia dispiaciuto, ma è troppo tardi per chiedere scusa di non aver fatto abbastanza per salvare Meredith. Il tribunale ha accertato il fatto che ho cercato di salvarla tamponando le ferite con degli asciugamani".

Poi l'affondo su Amanda:

 "Il tribunale mi ha condannato per complicità nell’omicidio perché c’era lì il mio Dna ma i documenti dicono che vi erano altre persone e che non sono stato io a infliggere le ferite fatali".

Alla domanda se si riferisca ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito, Guedè risponde:

"Voglio dire solo che lei dovrebbe leggere i documenti. Come ho già detto, (i documenti) affermano che c’erano altri e che non ho inflitto le ferite. Io so la verità e anche lei la sa", aggiunge, riferendosi ad Amanda.

La replica del marito di Amanda Knox e di Sollecito

Immediata e dura la replica del marito di Amanda Knox, Christopher Robinson:

"Dare una piattaforma e amplificare le bugie di Rudy Guede, che senza dubbio ha ucciso Meredith Kercher, è crudele per Amanda e per la famiglia Kercher. Vergogna".

Oggi Knox ha 34 anni e ha recentemente dato alla luce una bimba: Eureka Muse Knox-Robinson. Con la sua famiglia si è stabilita vicino a Seattle e, insieme al consorte, ha dato vita ad un podcast: Labyrinths: Getting Lost With Amanda. Continua a proclamare la sua innocenza.

Dura anche l'altro protagonista del caso giudiziario, Raffaele Sollecito:

"Guede è stato giudicato colpevole con una sentenza passata in giudicato. È stato condannato a sedici anni e non so quanto tempo sia rimasto in cella. Rispetto la legge. Resta il fatto che io mi sono fatto quattro anni di carcere gratis. E anche per colpa sua, perché non ha mai voluto dire la verità, ho rischiato di essere condannato a trent’anni. Vorrei capire perché ha mentito, perché mi ha tirato in mezzo, perché ha insistito a raccontare una cosa che non esiste, senza mai sentire l’esigenza di dire la verità. E lo dicono i giudici, non lo dico io. Lo dicono le sentenze. E come ho già detto rispetto la legge".

Guedé, in questi anni, si è sempre dichiarato innocente. Durante gli anni della prigione si è anche laureato e si è dedicato ad attività sociali.

Un iter giudiziario controverso

Tra accuse e contro accuse l'unica certezza, in questa brutta pagina di cronaca, è il travagliato iter giudiziario della vicenda: in primo grado, come concorrenti nell’omicidio, furono condannati dalla Corte d’assise di Perugia nel 2009 anche Amanda Knox e Raffaele Sollecito; successivamente assolti e scarcerati dalla Corte d’assise d’appello nel 2011 per non avere commesso il fatto (relativamente all’omicidio), mentre per Amanda Knox fu confermata la condanna a tre anni per calunnia nei confronti di Patrick Lumumba (da lei accusato dell’omicidio e risultato estraneo ai fatti). Decisive furono le perizie che escludevano la certezza della presenza sulla scena del crimine dei due imputati. La Corte di cassazione, accogliendo il ricorso della Procura Generale di Perugia, il 26 marzo 2013 annullò la sentenza assolutoria d’appello e rinviò gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Firenze. Per il procuratore generale di Perugia Giovanni Galati, la sentenza di assoluzione era però “da cassare” poiché minata da “tantissime omissioni”, “errori” e, quindi, da “inconsistenza delle motivazioni”.

Il 30 gennaio 2014 la Corte d’assise d’appello di Firenze sancisce nuovamente la colpevolezza degli imputati condannando Amanda Knox a 28 anni e 6 mesi di reclusione e Raffaele Sollecito a 25 anni di reclusione e applicando a quest’ultimo la misura cautelare del divieto di espatrio con ritiro del passaporto.

Il 27 marzo 2015 la quinta sezione penale della Corte di cassazione, presieduta dal consigliere Gennaro Marasca, annulla senza rinvio le condanne a Raffaele Sollecito e Amanda Knox, assolvendoli per non aver commesso il fatto, affermando la mancanza di prove certe e la presenza di numerosi errori nelle indagini, e mettendo così un punto definitivo.

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