Inferno Afghanistan

Resa dei conti a Kabul: "I Talebani cercano casa per casa"

Coloro che sono riusciti a sfuggire dalla capitale afghana e sono arrivati a Fiumicino raccontano l'inferno che attende chi è rimasto lì.

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Via da Kabul. Dopo la presa della capitale afghana da parte dei miliziani del gruppo radicale islamista dei talebani - ultima grande città del paese inghiottita dall'avanzata, che fino a domenica mattina, 15 agosto 2021, era rimasta sotto il controllo del governo afghano - è immediatamente iniziato il piano di evacuazione del personale dell'ambasciata italiana a Kabul e degli altri connazionali presenti in Afghanistan come medici e giornalisti.

Via da Kabul: il rientro in Italia

Lo Stato Maggiore della Difesa non si è fatto trovare impreparato e ha subito fatto sapere:

"Militari del Comando operativo di vertice interforze, opportunamente supportati da elementi dell'Esercito, raggiungeranno la capitale afghana a bordo di un KC767 dell'Aeronautica Militare e avranno il compito di dirigere e coordinare a Kabul il rientro in Patria del personale diplomatico, dei connazionali e dei collaboratori afghani".

E ancora:

"Il dispositivo militare del Comando operativo di vertice interforze rimarrà operativo presso l'aeroporto di Kabul fino all'imbarco dell'ultimo collaboratore, fino a quando le condizioni di sicurezza lo consentiranno".

I racconti di chi è riuscito a tornare

Fra coloro che nelle scorse ore sono rientrati in Italia c'è anche la giornalista Francesca Mannocchi, che ha raccontato ciò che ha visto in prima persona di quell'inferno di disperazione: con persone che sono arrivate ad aggrapparsi ai carrelli degli aerei in decollo per poi precipitare rovinosamente pur di lasciare il Paese.

"Quello che sta vivendo Kabul è un assalto all’aeroporto, una delle ragioni per cui il nostro volo ha subìto ritardo è che centinaia di persone ieri bloccate all’aeroporto cercavano di assaltare le piste. Sono stati momenti molto concitati, la sera soprattutto, noi eravamo in una parte relativamente sicura, sentivamo gli spari ma non capivamo a cosa fossero dovuti, il volo è stato ritardato, la pista dell’aeroporto di Kabul in tarda serata è stata chiusa. Nella grande confusione non riuscivamo a capire quale fosse la ragione dell’allarme sicurezza”.

Chi c'era su quel volo diretto "della salvezza" che li ha portati a Roma? Mannocchi chiarisce:

"Cittadini italiani che vivevano e lavoravano, ma anche 20 cittadini afghani collaboratori dell’ambasciata, che con grande sforzo ieri la sede diplomatica è riuscita a evacuare: ci sono anche le loro famiglie, con donne e bambini”.

Ma chi è riuscito ad andarsene non dimentica i colleghi che restano e che ora rischiano ritorsioni per il loro operato.

"I talebani stanno cercando i nostri colleghi casa per casa. Stanno rischiando. La situazione negli ospedali è gravissima”.

Fra le lacrime Arif Aryakhail, medico dell’Ais Kabul arrivato nella giornata di ieri all’aeroporto romano di Fiumicino, rivolge un pensiero al dramma di chi resta e che rischia gravi rappresaglie.

"I nostri collaboratori hanno creduto in noi e ora sono abbandonati e rischiano a vita. Abbiamo lasciato collaboratori a Kabul e non sappiamo ora come aiutarli, come dobbiamo fare. Donne che non possono muoversi, che hanno collaborato con noi, che abbiamo formato, ostetriche, medici, che lavoravano con noi ed ora sono abbandonati. I nostri ospedali sono abbandonati, non hanno farmaci, e i malati muoiono. Bambini che non hanno da mangiare. La situazione è gravissima. Io sono un medico rifugiato che ha collaborato a progetti sanitari a Kabul e nelle province. Avevo creduto molto nella transizione ed ora sono deluso".

Paura per le donne

A preoccupare è anche il destino di molte donne considerate "ribelli" nella concezione talebana della condizione femminile. Durante il precedente governo dei talebani tra il 1996-2001 alle donne era richiesto di indossare in pubblico il burqa, mentre era negato ogni diritto di svolgere una funzione pubblica, non era punito il diritto d'onore ed era uso che un uomo avesse anche più di una moglie di sua proprietà, da sposare anche in tenera età.

Il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres si è detto "profondamente turbato dalle prime indicazioni secondo cui i talebani stanno imponendo severe restrizioni ai diritti umani nelle aree sotto il loro controllo, in particolare prendendo di mira donne e giornalisti".

Il portavoce dei talebani ha affermato che il nuovo Emirato islamico sarà rispettoso dei diritti delle donne e sarà consentito loro l'accesso all'istruzione. Il gruppo ha affermato di essere cambiato, e che consentirà alle donne di lavorare, andare a scuola, uscire di casa da sole e indossare l'hijab. Ma alcuni testimoni, al quotidiano inglese The Guardian, avrebbero raccontato che i comandanti talebani hanno dato istruzione agli imam delle aree che si trovano sotto il loro controllo di fornire l'elenco delle donne "non sposate, di età compresa tra 12 e 45 anni affinché i loro soldati possano sposare in quanto bottino di guerra che spetta ai vincitori".

A temere maggiormente è la platea femminile di attiviste, che sta cercando di far sparire "le prove" del proprio impegno civile.

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