BIZZARRIE DEI GIUDICI

No, caro Tribunale di Milano: password e social del marito morto non sono eredità digitali

Nessun segreto sarà portato nella tomba, la sentenza rischia di creare il caos sui diritti fondamentali e accentuare il vuoto normativo

No, caro Tribunale di Milano: password e social del marito morto non sono eredità digitali
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La decisione del Tribunale di Milano, porta subito a una domanda: Vi ricordate il film Perfetti sconosciuti? Una delle protagoniste lanciava un esperimento sociale: durante una serata tra amici, mettere i propri cellulari sul tavolo e far sapere a tutti il contenuto di ogni messaggio o telefonata ricevuti nell’arco della serata.

Il tribunale di Milano e l'eredità digitale: il fatto

Ora con l'ultima sentenza del Tribunale di Milano si andrà anche oltre, perché quanto deciso dai giudici è tutto un programma: password e le "credenziali" social e della casella di posta elettronica del marito defunto "passeranno in eredità" alla moglie. In buona sostanza, il caro estinto non dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) portarsi nessun segreto nella tomba.

Un nuovo tormentone che è destinato a far discutere e probabilmente ad appesantire ulteriormente l'arretrato delle cause pendenti e da calendarizzare in tribunale.

Una storia tipicamente italiana che ancora una volta (e come spesso accade dal mondo giudiziario) ci propone una delle sue tante bizzarrie.

La richiesta di "entrare" nei profili social del marito morto

Tutto è nato dalla richiesta fatta da una donna, rimasta appunto vedova, al giudice: avere le password degli account dei social network del marito defunto.

Una richiesta motivata dalla speranza di trovare sui "diari" del mondo virtuale eventuali pensieri e lettere di addio.

E così in effetti, la donna che il Tribunale di Milano ha autorizzato a entrare in possesso dei beni digitali del deceduto. Una sentenza che di fatto apre anche in Italia il dibattito sull'eredità digitale, e sulla sua convivenza con il diritto alla privacy.

"Eredità digitale", per primi naturalmente gli Stati Uniti

A far da apripista, in tema di tecnologie e stranezze, naturalmente sono stati gli Usa. E' infatti di dieci anni fa la sentenza della Corte Suprema del Massachusetts a favore dei familiari di una persona deceduta che avevano già precedentemente chiesto di poter accedere alla sua casella email alla ricerca di eventuali comunicazioni testamentarie.

In Germania invece, era diventato un caso mediatico la vicenda di due genitori che avevano chiesto la password del profilo Facebook della figlia per far luce sulla sua tragica morte sotto un treno. 

Anche in quel caso dopo una lunga battaglia giudiziaria, il tribunale aveva acconsentito alla concessione della password.

L'eredità digitale in Italia e il caos dei diritti fondamentali

In Italia, di eredità digitale si è parlato per la prima volta nel 2021, anche in quella occasione con protagonisti due genitori di Bologna che volevano far chiarezza su un incidente stradale in cui era morto il figlio. Il tribunale aveva deciso per acconsentire all'accesso dei dati.

Ora la sentenza a favore della donna rimasta vedova da parte del Tribunale di Milano.

Ma la sentenza rischia davvero di scatenare il caos: a fianco di richieste che possono apparire in prima battuta umane e legittime, c'è la concreta constatazione, banale ma non troppo, che nessuno porterà più segreti nella tomba oltre al caos che si verrà a creare sui diritti fondamentali.

Anche se è accaduto anche recentemente che, entrare nei meandri del mondo virtuale, ha permesso di scoperchiare situazioni anche gravi (come nel caso della mamma che ha scoperto per caso che una maestra bullizzava suo figlio in una chat di Whatsapp).

Quando è possibile accedere ai dati personali

In generale è ritenuto legittimo l’acceso ai dati sanitari di una persona deceduta se serve per mettere in luce le modalità della sua morte

Ciò accade soprattutto in caso di vicende giudiziarie per acclarare responsabilità dei medici.

Altrettanto legittimo l’accesso ai dati Inps se è necessario per ricostruirne la pensione o all'accesso ai dati in possesso dell’Agenzia delle Entrate per verificare la sussistenza di eventuali debiti fiscali e anche l’accesso ai dati bancari, trattandosi di diritti patrimoniali che spettano agli eredi in via di successione.

La decisione del Tribunale di Milano, perplessità e criticità

Ora è possibile anche l’accesso ai dati di una piattaforma web, e quindi il diritto a conoscere la password di accesso, a meno che prima del decesso l'interessato abbia negato il consenso al gestore del servizio Internet.

Ma in questo caso, la volontà di vietare l’esercizio dei diritti deve risultare in modo "non equivoco e deve essere specifica, libera e informata". 

Anche se in molti fanno notare come di fatto esista un vuoto normativo e la sentenza di Milano rischia di accentuarlo. Ma soprattutto si rischia di venire a conoscenza di informazioni che potrebbero portare a compromettere quasi totalmente il diritto alla privacy.

In conclusione, password e social non sono eredità digitali

Non scherziamo, le password, i profili social e gli account di posta elettronica di una persona defunta rimangano privati fino al giorno del giudizio. Questo a meno che l'interessato non voglia diversamente: ma sarebbe un assurdo nell'assurdo il contrario (cioè se non dici nulla, allora i tuoi canali personali diventano "eredità digitale"). Quindi un vuoto normativo sicuramente c'è, non resta che auspicare che la Politica metta al più presto una pezza alle stranezze della Magistratura.

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