ANNIVERSARIO

La strage di Ustica e l'ingiustizia nei confronti della compagnia Itavia

Sono passati 45 anni da quel maledetto 27 giugno 1980 in cui morirono 81 persone. Quasi mezzo secolo di depistaggi e torti mai ripagati

La strage di Ustica e l'ingiustizia nei confronti della compagnia Itavia
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Per fortuna, a distanza di 45 anni da quel 27 giugno del 1980, almeno una verità nell'immaginario dell'opinione pubblica c'è, malgrado manchi scandalosamente e dolorosamente una verità giudiziaria sulla strage: il DC9 della compagnia Itavia denominato I-Tigi è stato abbattuto per sbaglio da un missile durante una battaglia combattuta nel cielo sopra Ustica tra aerei militari della Nato e un caccia libico, poi schiantatosi sulla Sila e fatto ritrovare con una messinscena un mese dopo (in copertina la visita del presidente Mattarella al Museo per la Memoria di Ustica di Bologna nel 2020).

La strage di Ustica e l'ingiustizia nei confronti di Itavia

L'essenziale delle notizie è sempre vero e, al netto dei mille orpelli che si possono aggiungere a questa terrificante tragedia, dopo quasi mezzo secolo questo per fortuna rimane, anche se non sapremo mai esattamente se a sparare è stato un caccia dell'alleato francese o americano oppure se insieme al Mig libico in fuga ce ne fosse un altro sfuggito al fuoco con a bordo niente meno che il leader Gheddafi.

Il presidente Mattarella al Museo per la Memoria di Ustica di Bologna nel 2020

L'unico processo approdato in Tribunale su Ustica è stato quello sugli innumerevoli depistaggi che hanno segnato sin da subito le inchieste sulla strage, ma non è per niente una soddisfazione, non ripaga nulla, anzi semmai aggiunge oltraggio all'oltraggio, dato che i vertici dell'aeronautica sotto accusa (che hanno continuato a fare di tutto per coprire una verità scomoda) se la sono cavata con la prescrizione.

Depistaggi per cercare di accreditare una delle due altre sole teorie possibili: prima quella del famigerato "cedimento strutturale", poi quella della bomba.

Il depistaggio della bomba

Come quello che ha visto protagonista appena due giorni dopo il disastro il direttore marketing dell'Itavia, che "casualmente", viene informato del fatto che sul volo c'era un funzionario di banca padovano, gravemente malato e con problemi finanziari, che per sé e i suoi tre figli aveva preso solo biglietti d'andata. Un kamikaze bombarolo, naturalmente! E invece no, verrà fuori che la sua salute era in miglioramento, che stava iniziando una nuova relazione e che aveva preso solo andata perché aveva paura dell'aereo e il ritorno se lo sarebbe fatto in treno… Ma intanto veniva piantato il primo seme di quella bomba poi mai pervenuta (per citare la prova più evidente, la porta del bagno di bordo, una volta recuperata, ha evidenziato deformazioni dall'esterno e non dall'interno, come sarebbe stato se fosse esplosa sotto il lavello), che negli anni è più volte ritornata in auge (l'ultima nel 2011 con assoluta sicumera dall'allora sottosegretario Carlo Giovanardi).

Il presidente Mattarella al Museo per la Memoria di Ustica di Bologna nel 2020

E quello del cedimento strutturale

Oppure, un mese dopo la strage, come dimenticare la roboante intervista a Repubblica di un pilota Itavia che si mette a parlare di aerei vecchi e tenuti insieme in qualche maniera, altro seme che fa germogliare la leggenda delle "bare volanti". E' da qui che si annida sotto la pelle del disastro invece la zecca del "cedimento strutturale", peccato che tutti gli altri piloti della compagnia smentiranno le "sonore fesserie" del collega (come quella della vibrazione che si sarebbe sentita da oltre un ano sul velivolo) e riterranno quella del cedimento strutturale una barzelletta di pessimo gusto. La favola viene purtroppo supportata inizialmente anche dalla Cgil, che suffraga la tesi delle anomalie tecniche: la realtà è che l'I-Tigi era uscito pochi giorni prima da una manutenzione ed era in perfette condizioni.

La "caccia alle streghe"

Ma la "caccia alle streghe" ormai era partita. Non solo mediaticamente: il ritiro della concessione a Itavia arriva in Parlamento con una mozione firmata da tutte le forze politiche. Intanto nessuno vuol più salire a bordo dei suoi aerei. A ottobre e novembre tutti i dipendenti della compagnia restano senza stipendio, poi finiscono in cassa integrazione.

Il Museo per la Memoria di Ustica

La compagnia chiede aiuti di stato per sopravvivere, ma il ministro dei trasporti d'allora, il democristiano Rino Formica, non solo li nega, ma per giunta dice alla compagnia che non può fermarsi, altrimenti pioveranno addirittura sanzioni.

L'epilogo farsa della faccenda arriva poco prima del Natale 1980, quando la prima Commissione d'inchiesta sul disastro deposita la prima relazione preliminare: anche in quella primissima, ancora non approfondita analisi dei fatti, la tesi del cedimento strutturale viene comunque definita prima di fondamento - per stato di manutenzione e condotta operativa dell'aereo - ma non solo, Itavia viene sollevata da qualsiasi responsabilità!

Eppure quel dicembre il Governo decreta lo stesso la società decaduta. Incredibile.

Un'ingiustizia tanto più clamorosa seguendo la vicenda Ustica negli anni a seguire (e i depistaggi, che non sono mai finiti).

daniele.pirola@netweek.it

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