Il giovane portiere partito per combattere in Ucraina come foreign fighter
Ha lasciato la Bolivia, dove si stava allenando e preparando per il campionato, andando a combattere a Kiev per respingere i russi.
Dal calcio professionistico alla guerra in Ucraina: questa la scelta coraggiosa compiuta dal portiere lombardo Ivan Luca Vavassori, partito per il fronte dopo lo scoppio della guerra e che tramite i social racconta il conflitto.
Ivan Luca Vavassori, il calciatore andato a combattere in Ucraina
L'ufficialità della scelta di Ivan Luca Vavassori è arrivata il 26 febbraio 2022 tramite Facebook, quando ha letteralmente "appeso le scarpe al chiodo" per andare a combattere in Ucraina, ringraziando il suo mondo: quello del calcio.
"Continuerò a giocare con amici e compagni ma il calcio non sarà più la cosa più importante della mia vita."
Perchè il calciatore 30enne, nato in Russia ma cresciuto in Lombardia, ha dedicato la sua vita allo sport diventando portiere. Prima di partire per il fronte si era trasferito Bolivia a Santa Cruz con l'obiettivo di poter giocare nel campionato straniero.
La sua carriera da professionista affonda le radici in Italia: a Busto Arsizio, con l'Aurora Pro Patria, Ivan ha mosso i suoi primi passi importanti, giocando poi a Bra (Cuneo) e tornando in Lombardia a Legnano e Vittuone, prima di partire per la Bolivia.
Nato a Elektrostal, in Russia, Vavassori è cresciuto in Italia coltivando, oltre alla passione per il calcio, un'importante fede cristiana che proprio in queste settimane è diventata un appiglio per trovare la forza per continuare a combattere.
Dalla palla tra i piedi all'arma in mano e al caschetto in testa
Nel giro di poche settimane la vita di Ivan Luca Vavassori è stata stravolta: dai video sul suo profilo TikTok che lo riprendevano durante gli allenamenti, dai post in cui raccontava la sua preparazione atletica, si è velocemente passati alle immagini di guerra, di eserciti, di profughi, di armate. Dal calciatore biondo che parlava un po' italiano un po' portoghese tra campi da calcio e palestre ora le immagini ritraggono un combattente stanco, con la barba incolta, la voce che trema mentre racconta degli attacchi e delle perdite.
I video-reportage della sua guerra
Nei video pubblicati, inizialmente giorno per giorno ma che col passare del tempo sono sempre più radi, Vavassori racconta il suo arrivo in Ucraina, le difficoltà per arruolarsi, la lotta con i compagni, la fatica del primo attacco dei nemici a causa del quale alcuni dei combattenti del gruppo in cui proprio lui è Comandante sono stati uccisi.
In uno degli ultimi video l'ex portiere parla da Kiev con un filo di voce, infreddolito e apparentemente scoraggiato. Racconta della difficile lotta, ricorda perché - lui, che aveva una bella vita lontano da bombe e mitragliatrici - ha deciso come tanti altri di partire per andare al fronte:
"Abbiamo fatto due notti di seguito a combattere. Siamo ormai circondati perché le forze nemiche arrivano da tutte le parti, ci stanno bombardando, non tanto con la fanteria ma bombardandoci ovunque. Stiamo cercando di rispondere da lontano, per il resto abbiamo avuto un po' di scontri, qualche morto loro, dei nostri fortunatamente solo due feriti.
Gli Ucraini combattono per qualcosa di diverso da noi: noi siamo venuti qui per aiutarli, perché la guerra non esca da qua e non arrivi in Europa, mentre loro proteggono le loro case e le loro famiglie. Ora stiamo proteggendo un gruppo di 30 civili che sono qui e non vogliono andarsene, si sono barricati nelle case.
Adesso nel gruppo dove sono Comandante hanno abbandonato ieri cinque ragazzi, hanno preferito tornare a casa perché il nemico è a meno di un km, sta mattina ci siamo svegliati con uno scontro a fuoco.. stanno arrivando. vediamo di respingerli e temporeggiare mentre i vari presidenti decidono sul da farsi. Per il resto io sto bene, siamo un po' raffreddati, siamo qui ancora vivi, questo è l'importante".
https://www.tiktok.com/@ivanlucavavassori/video/7075307472684141829?is_from_webapp=1&sender_device=pc&web_id=7075978859753948677
Fin dal giorno della sua partenza Ivan ha spiegato di essersi imbarcato per l'Ucraina per combattere questa guerra, non per diventare un militare.
"Siamo qua per aiutare ma se domani finisse la guerra - racconta in un video - non siamo qua per rimanere dopo sul terreno ucraino altri mesi".
Comandante Aquila nera
Nell'ultimo video Ivan imbraccia un'arma, in tenuta militare, e cammina mostrando la desolazione dei luoghi colpiti dalla guerra, anteceduto da altri militari. Spiega di essere divenuto il Comandante "Rome", ossia "aquila nera", nome guadagnato perché su tutti i suoi caricatori e le armi affigge un adesivo nero. E specifica:
"Il titolo di capitano me lo sono guadagnato sul campo, non facendo finta di studiare o grazie a nonno o papi dell'esercito. Mi chiamano Rome, aquila nera".
Figlio di una coppia italiana, la mamma venne rapita dall'ndrangheta
Ad aspettare il ritorno in Italia di Ivan luca c'è, tra i tanti che in queste settimane fanno il tifo per lui, anche il suo papà adottivo Pietro Vavassori. Lui e la moglie Alessandra Sgarella lo hanno adottato alla fine degli anni 90, crescendolo con amore e cura.
Forse a qualcuno dei lettori, leggendo " Alessandra Sgarella", è parso di conoscere questo nome così altisonante: questo perché la mamma di Ivan Luca l'11 dicembre 1997 - proprio il giorno successivo alla scoperta che sarebbe diventata presto madre del calciatore ora in Ucraina a combattere per la libertà - venne rapita nel cortile della sua casa a Milano dalla ’ndrangheta, che per dieci mesi l'ha tenuta sequestrata in un rifugio segreto nella Locride.
Per quei lunghi mesi d'inferno, nel limbo tra l'incertezza della vita e la paura della morte, lontano dai suoi affetti e da quel bambino che finalmente stava per arrivare, Alessandra Sgarella è sopravvissuta anche grazie alle lettere e alle fiabe che scriveva al piccolo Ivan Luca. Pietro Vavassori in passato ha infatti raccontato che secondo lui sapere che presto sarebbe diventata mamma aveva dato la forza alla moglie di resistere: e alla fine aveva resistito, venendo liberata e tornando a casa da suo marito accogliendo poi suo figlio in arrivo da Elektrostal, vicino a Mosca.
Gli occhi di Alessandra Sgarella si sono chiusi per sempre, a causa di una grave malattia, il 27 agosto 2011 a distanza di poche ore dalla notizia dell'arresto dell'ultimo latitante della banda che l'aveva sequestrata anni prima.