Fenomeno preoccupante

Incredibile caso di mobbing sul lavoro: "Metti la testa nel cesso e non parlare"

Ma il problema è che al mobbing verticale si aggiunge sempre più spesso anche il bullismo orizzontale, nelle imprese

Incredibile caso di mobbing sul lavoro: "Metti la testa nel cesso e non parlare"
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L'ultimo sconcertante caso di cronaca sul tema mobbing fa tornare l'attenzione sulla tematica della prevaricazione e abuso di potere sul luogo di lavoro.

"Metti la testa nel cesso e non parlare".

Questo è solo un esempio delle parole che un superiore di un’azienda/cooperativa di Pesaro del settore delle sanificazioni rivolgeva spesso ai suoi dipendenti e in particolare ad alcune di essi.

Una vicenda scandalosa quanto emblematica da cui l'Aidp (Associazione Italiana per la Direzione del Personale), è partita per realizzare una ricerca sul mobbing verticale lavorativo.

"Metti la testa nel cesso e non parlare"

Lascia veramente a bocca aperta il più recente caso di mobbing sul lavoro arrivato alla ribalta dell'opinione pubblica. I fatti, nello specifico, erano stati raccontati da Il Resto del Carlino che, a riguardo, aveva fatto luce sulle prevaricazioni e abusi di potere di un capo di un'azienda/cooperativa di Pesaro che opera nel settore delle sanificazioni.

"Devi mettere la testa nel cesso e non parlare sennò ti tolgo il pane di bocca".

Già oggetto di altre vicende giudiziarie, l’uomo avrebbe, peraltro, anche fatto pressione perché le donne si iscrivessero al suo stesso sindacato.

Il “capo” avrebbe demansionato, insultato e costretto a lavorare le persone senza apposite protezioni rispetto all’utilizzo di sostanze tossiche e potenzialmente nocive se utilizzate a contatto diretto con la pelle.

La ricerca sul mobbing verticale e il bullismo orizzontale

Sul fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro, di recente, è stata realizzata una ricerca promossa da Aidp (Associazione Italiana per la Direzione del Personale), coordinatore il professor Umberto Frigelli, in collaborazione l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Dallo studio è emerso che non c'è solo il cosiddetto mobbing verticale: a questo purtroppo si aggiunge sempre più con frequenza il “bullismo orizzontale” che coinvolgerebbe il 30 per cento delle imprese.

In pratica consiste in azioni di mobbing non fra superiori e sottoposti, ma fra colleghi di pari grado (in teoria) che arrogano a sè un'autorità che non hanno, in rari casi con il colpevole quanto interessato silenzio dei datori di lavoro che si ritrovano un "cane da guardia" a fare un "lavoro sporco" del tutto gratis.

Questi sono alcuni dati messi a disposizione:

  • Per il 43% di coloro che subiscono atti di mobbing orizzontale si tratta di comportamenti frequenti; il 43% delle persone coinvolte sono donne.
  • Il 60% delle imprese ha attivato strumenti di segnalazione anonima e di intervento per contrastare il fenomeno.
  • Dall’analisi poi emergerebbe, come alla domanda, se nella propria azienda hanno avuto notizia, diretta o indiretta, di episodi devianti come abusi fisici o verbali, intimidazioni, riconducibili a fenomeni di mobbing orizzontale, quindi non da parte di superiori, o bullismo tra colleghi, oltre il 30% dei partecipanti all’indagine ha risposto di sì.
  • Altro aspetto che colpisce è che nel 65% dei casi, queste azioni avvengono in presenza di altre persone o dipendenti.

Una norma per fermare il fenomeno è sufficiente?

Per i promotori della ricerca servirebbe una norma per debellare il fenomeno. Ma la domanda è: basterebbe?

Certo, come chiede Matilde Marandola, presidente Aidp (Associazione italiana per la direzione del personale):

“È possibile aprire un dialogo con il Ministero del lavoro”.

Come attesta il report, però, la maggior parte dei casi si manifestano attraverso pettegolezzi (53%), esclusione e boicottaggio intenzionale della persona coinvolta (oltre il 34%), svalutazione delle opinioni e critica continua (oltre 32%), svalutazione del lavoro svolto verso il management (31,5%), azioni aggressive verso i colleghi (oltre 23%), invasione della privacy altrui (circa il 12%): una legge colpirebbe danni già subiti dalle persone.

Un fenomeno diffuso e in qualche modo contrastato

La ricerca attesta come il fenomeno sia sempre più diffuso. Circa il 20% delle realtà imprenditoriali interpellate avrebbe previsto programmi di prevenzione del bullismo quali, ad esempio, la diffusione di un codice comportamentale (oltre l’80%) e la formazione del personale sulle relazioni interpersonali mirate a prevenire il bullismo e il mobbing (47% circa).

In ambito sociologico e aziendale, oggi viene riconosciuto come il bullismo, sul luogo di lavoro, danneggi la stessa produttività e a questo si sommi che le stesse imprese siano chiamate anche a rispondere di responsabilità legali.

Per i promotori dello studio si tratta:

“Di uno spaccato patologico della vita in azienda che forse non pensavamo fosse così ampio. Lo scopo della nostra iniziativa era quello di capire l’estensione del problema e, nel caso, farlo emergere, denunciarlo e renderlo visibile”.

Rispetto al passato, però, per il 55% degli intervistati, oggi prevale una maggiore tendenza a denunciare questi episodi.

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