Dopo Alviero Martini Spa, anche il brand Giorgio Armani accusato di non aver vigilato sullo sfruttamento dei lavoratori cinesi
Sistema "diffuso" di caporalato: la Procura di Milano ha aperto un'inchiesta
La Giorgio Armani Operations Spa, società del gruppo Armani non è indagata direttamente, ma per il Tribunale non ha effettivamente controllato la catena produttiva permettendo alle società appaltate di subappaltare e favorire così lo sfruttamento di lavoratori cinesi in laboratori da incubo sparsi fra Milanese e Bergamasca. Era già successo alcuni mesi fa con un altro brand dell'alta moda e il blitz era scattato quella volta fra Milanese e Pavese.
Commissariata società di Armani, indaga la Procura
Una nuova scossa al mondo della moda. La Procura di Milano ha aperto un'inchiesta su un presunto sistema diffuso di sfruttamento lavorativo che coinvolge diverse aziende nel settore dell'alta moda. Dopo il commissariamento della Alviero Martini Spa, ora è il turno della Giorgio Armani Operations Spa, una delle società del gruppo Armani, di finire sotto i riflettori.
Le accuse sono gravi. Si tratta di lavoro nero, condizioni di lavoro degradanti, paghe da fame e caporalato. La Giorgio Armani operations Spa, con oltre 1.200 dipendenti, è accusata di non aver mai effettivamente controllato la catena produttiva, permettendo così alle società appaltatrici di subappaltare ad opifici abusivi gestiti da titolari cinesi.
Questo meccanismo, secondo quanto emerso dall'inchiesta, avrebbe consentito la produzione di abbigliamento e accessori a prezzi nettamente al di sotto delle soglie di mercato, eliminando qualsiasi forma di concorrenza. Le borse venivano finite a 90 euro ma vendute a quasi 2mila euro.
Maggiore regolamentazione del settore
Stando alle indagini condotte dai Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dai magistrati Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, ci sarebbe un sistema consolidato che permette di sfruttare la manodopera in maniera riducendo i lavoratori a strumenti di produzione.
Precisiamo che la società del gruppo Armani non è indagata direttamente. Al contrario, sono quattro titolari di aziende di origine cinese, ad essere accusati di caporalato. Questo solleva però interrogativi sulle responsabilità effettive delle grandi aziende nella filiera produttiva e sulla necessità di un maggiore controllo e regolamentazione del settore.
Turni da 14 ore e 2-3 euro all'ora
Dall'inchiesta sarebbe emerso che i lavoratori coinvolti in questo sistema di sfruttamento erano costretti a lavorare in condizioni disumane. Facevano turni massacranti di oltre 14 ore al giorno anche nei giorni festivi senza alcuna tutela né diritto a ferie, malattie o contributi. Le paghe, si aggiravano attorno ai 2-3 euro l'ora, una cifra umiliante che rendeva impossibile per i lavoratori sbarcare il lunario.
La società di Armani ha risposto alle accuse affermando di aver sempre messo in atto misure di controllo per ridurre al minimo gli abusi nella catena di fornitura. Il presidente del Tribunale Fabio Roia ha dichiarato che il commissariamento della società avverrà senza interferire con la gestione aziendale garantendo così la piena operatività sul fronte imprenditoriale. È stato però disposto l'affiancamento dell'amministratore giudiziario Piero Antonio Capitini.
Per il Tribunale è un sistema consolidato
In merito alla replica della GA Operations, un addetto al controllo qualità della società ha documentato visite mensili in uno dei capannoni-dormitorio della Manifatture Lombarde, società appaltatrice dei lavori per Armani. Secondo il verbale, la Manifatture Lombarde non dispone di un reparto produzione e, non potendo evadere le commesse, esternalizza le lavorazioni ai subcommittenti ma l'unico audit, verifica della correttezza dei dati di bilancio, effettuato dalla GA Operations sulla Manifatture Lombarde non ha rilevato questa irregolarità.
Il Tribunale ha definito questo sistema come "generalizzato e consolidato" all'interno della GA Operations evidenziando un'abitudine che si protrae almeno dal 2017. I pubblici ministeri, che hanno già investigato su importanti aziende nei settori della logistica e della vigilanza, parlano di "normalizzazione della devianza".
Il caso simile della Alviero Martini Spa
Inoltre, uno degli imprenditori cinesi coinvolti ha fornito agli investigatori un elenco di altri grandi nomi della moda per i quali il suo opificio ha prodotto cinture in subappalto gettando ulteriori ombre sul settore. Il presidente del Tribunale, Roia, ha suggerito l'istituzione di un tavolo con la Prefettura per identificare e affrontare preventivamente le criticità operative degli imprenditori nel settore della moda.
L'obiettivo non è quello di punire la società di Armani ma di denunciare le scorrettezze di un sistema che riguarda tutto il mondo della moda. Soltanto poche settimane fa, anche al brand Alviero Martini Spa è stata contestata l'incapacità "di prevenire e arginare questi fenomeni nell'ambito del ciclo produttivo".
Le fasi della produzione sono state esternalizzate a società terze tramite un contratto di appalto che prevedeva il divieto di subappalto senza un'autorizzazione preventiva. Dagli accertamenti è emerso anche in questo caso che le società si avvalevano di opifici cinesi non autorizzati sfruttando la manodopera.