Succede in tre casi su dieci

Denuncia il marito, poi cambia idea: "Mai subito violenze". Ma il giudice non le crede e lo condanna

La sentenza di Torino segna una svolta nei casi di maltrattamento sulle donne.

Denuncia il marito, poi cambia idea: "Mai subito violenze". Ma il giudice non le crede e lo condanna
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Prima ha denunciato il marito per abusi e violenze, poi in Tribunale ha ritrattato sostenendo che non ci fossero mai stati maltrattamenti. Una dinamica che capita molto spesso, circa nel 30% dei casi. Ma il giudice non ha creduto al ripensamento e ha comunque condannato l'uomo.

Denuncia il marito per violenze, poi ritratta

Come racconta Prima Torino, la storia inizia a dicembre 2020, quando un uomo viene arrestato per maltrattamenti nei confronti della moglie: litigi che degeneravano in sberle e tirate di capelli (spesso strappati), anche di fronte ai figli della coppia, di origine romena.

Qualche mese dopo, marzo 2021, durante l'incidente probatorio, la donna ritratta la sua versione dei fatti, ridimensionando le accuse. E così i due tornano a vivere sotto lo stesso tetto.

Il processo e la condanna

La vicenda è arrivata comunque a processo, al termine del quale il marito è stato condannato a quattro anni di carcere. Decisiva  è stata l'intuizione del pubblico ministero Davide Pretti, che ha deciso di percorrere una procedura penale poco battuta, e cioè acquisire durante il dibattimento le dichiarazioni rese in fase di indagini. Una metodologia che viene utilizzata soprattutto quando si ipotizza che il testimone sia stato minacciato per non deporre o dire il falso. 

 Il 30% dei casi

Purtroppo non è così infrequente che casi del genere seguano un iter simile, con la moglie che prima denuncia e poi cambia idea. Sarebbero ben tre casi su dieci quelli interessati da ritrattazioni sospette. Ora però, proprio grazie a questo caso, la Procura di Torino ha segnato una possibile svolta in merito.

"A volte la riconciliazione è solo apparente e il maltrattante che prometteva di non farlo più, ripropone poi le condotte violente -  spiega Anna Ronfani, vicepresidente di Telefono Rosa - Di certo la lunghezza dei tempi processuali, l’attesa snervante di una definizione, può contribuire alle retromarce".

 

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