chi potrebbe essere vivo

Da Elkana, che sognava una gelateria, ai gemelli del Kibbutz: chi sono i 48 ostaggi israeliani

Ma la verità, dicono le famiglie, è che “fino al giorno dello scambio nessuno saprà davvero chi tornerà a casa”

Da Elkana, che sognava una gelateria, ai gemelli del Kibbutz: chi sono i 48 ostaggi israeliani

Due anni dopo il massacro del 7 ottobre 2023, restano 48 ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Alcuni di loro, forse una ventina, sarebbero ancora vivi.

Da Elkana, che sogna la sua gelateria, ai gemelli del Kibbutz: chi sono i 48 ostaggi israeliani
Commemorazione 7 ottobre

Per gli altri, non c’è certezza. Il movimento islamista palestinese, che li trattiene da quasi 24 mesi nella Striscia di Gaza, chiede in cambio la liberazione di 1.950 detenuti palestinesi, tra cui 250 ergastolani e 1.700 prigionieri arrestati dopo l’inizio della guerra. Ma la verità, dicono le famiglie, è che “fino al giorno dello scambio nessuno saprà davvero chi tornerà a casa”.

Due anni di attesa e di silenzio

Il 7 ottobre 2023 Israele si svegliò nell’incubo. Gli attacchi di Hamas causarono oltre 1.200 morti e 251 persone rapite, trascinate a Gaza nel caos del più sanguinoso attacco contro civili nella storia del Paese.

Da allora, analisi scientifiche sui resti umani recuperati, indagini di intelligence e i racconti degli ostaggi liberati hanno permesso di stabilire un quadro parziale: tra 20 e 22 prigionieri sarebbero ancora in vita, gli altri presumibilmente morti durante la detenzione.

Ma nessuna conferma ufficiale, solo speranze. E intanto, a Tel Aviv e Gerusalemme, le piazze restano illuminate da candele, foto e cartelli: “Riportateli tutti a casa”.

Da Elkana, che sogna la sua gelateria, ai gemelli del Kibbutz: chi sono i 48 ostaggi israeliani
Gli appelli dei parenti degli ostaggi

Nelle ultime ore, dopo l’annuncio del presidente Donald Trump di un accordo di pace che prevede il rilascio degli ostaggi e la restituzione delle salme, la speranza ha riempito le strade d’Israele. I familiari dei rapiti si preparano — tra gioia e angoscia — a un possibile ritorno, anche se solo dei corpi.

I 20 ostaggi presumibilmente vivi

  • Matan Angrest, 22 anni, soldato del Kibbutz Nahal Oz, è apparso vivo in due video diffusi da Hamas, a luglio 2024 e luglio 2025.
  • Gali e Ziv Berman, 27 anni, gemelli del Kibbutz Kfar Aza, sono gli unici due sopravvissuti del kibbutz più devastato dagli attacchi.
  • Elkana Bohbot, 36 anni, rapito al Festival Nova, sognava di aprire una gelateria: un ostaggio liberato ha raccontato che “parla spesso del suo sogno e della sua famiglia”.
  • Rom Braslavski, 21 anni, guardia di sicurezza al Festival, sarebbe vivo secondo un compagno di prigionia rilasciato nel marzo 2025.
  • Nimrod Cohen, 20 anni, soldato, è stato catturato dal suo carro armato vicino a Gaza; tramite un altro ostaggio ha fatto arrivare un messaggio: “Sto bene, vi amo”.
  • Ariel e David Cunio, 28 e 35 anni, rapiti dal Kibbutz Nir Oz insieme alle rispettive famiglie: le donne e i bambini sono stati liberati nel novembre 2023.
  • Evyatar David e Guy Gilboa-Dalal, entrambi 24 anni, rapiti al Festival Nova, sono apparsi in un video di Hamas nel febbraio 2025.
  • Maxim Herkin, 37 anni, originario dell’Ucraina, era tornato a Israele solo una settimana prima del 7 ottobre.
  • Eitan Horn, 38 anni, rapito durante una visita al fratello Yair, liberato a febbraio 2025: Hamas lo ha mostrato in un video mentre implorava la fine della guerra.
  • Segev Kalfon, 27 anni, e Bar Kupershtein, 23, entrambi del Festival Nova, sono vivi secondo testimonianze di altri prigionieri.
  • Omri Miran, 48 anni, è stato sequestrato davanti alla moglie e ai figli: un video dell’aprile 2024 lo mostra ancora in vita.
  • Eitan Mor, 25 anni, guardia di sicurezza al Festival, è stato localizzato durante il cessate il fuoco di inizio 2025.
  • Yosef-Chaim Ohana, 24 anni, ha salvato decine di persone al Nova prima di essere catturato.
  • Alon Ohel, 24 anni, unico sopravvissuto di un rifugio dove 16 persone sono state uccise, è stato segnalato come vivo da altri liberati.
  • Avinatan Or, 32 anni, fidanzato di Noa Argamani (liberata nel giugno 2024), è stato visto in un campo di prigionia nel marzo 2025.
  • Matan Zangauker, 25 anni, rapito dal Kibbutz Nir Oz, è divenuto simbolo dell’attivismo dei familiari grazie alla madre Einav, leader del movimento delle Famiglie degli ostaggi.

I 28 ostaggi ritenuti morti

Fra le vittime figurano nomi che Israele pronuncia come in un memoriale:

Itay Chen, 19 anni, cittadino americano; Inbar Hayman, 27, unica donna non rilasciata e probabilmente dispersa; Arie Zalmanowicz, 85; Lior Rudaeff, 61; Eliyahu Margalit, 75; Meny Godard, 73; Amiram Cooper, 85; Tamir Adar, 38; Muhammad Al-Atarash, 39, arabo-israeliano morto mentre difendeva la patria; Sahar e Uriel Baruch, 24 e 35; Ronen Engel, 54; Ran Gvili, 24; Tal Haimi, 41; Guy Illouz, 26; Eitan Levi, 52; Joshua Loitu Mollel, 21, tanzano; Omer Neutra, 21, americano; Dror Or, 48; Daniel Oz, 19; Daniel Peretz, 22; Yossi Sharabi, 53; Asaf Hamami, 41; Sonthaya Oakkharasri e Sudthisak Rinthalak, cittadini thailandesi; Bipin Joshi, nepalese, di cui è stato recentemente diffuso un video risalente al novembre 2023.

A questi si aggiungono i corpi di Hadar Goldin e Oron Shaul, soldati israeliani catturati nel 2014 durante l’operazione Margine di Protezione.

Per Israele, il ritorno dei 28 corpi ha un valore che va oltre il lutto: significa permettere alle famiglie di seppellire i propri cari e, soprattutto, porre fine all’arma del ricatto che da anni Hamas utilizza per condizionare la politica e le trattative.

Un popolo sospeso tra dolore e speranza

Mentre a Gaza si parla di scambio e tregua, in Israele il tempo è scandito dalle attese dei familiari. Ogni notizia, ogni voce, ogni video può ribaltare tutto. L’accordo di pace annunciato da Trump potrebbe finalmente aprire un capitolo nuovo: la liberazione dei vivi e la restituzione dei morti.

Ma fra i parenti degli ostaggi nessuno si illude più.

“Non ci basta sapere se sono vivi o morti. Vogliamo riportarli a casa”, ripete Einav Zangauker, madre di Matan, simbolo di una battaglia che da due anni tiene l’intero Paese con il fiato sospeso.