Nel Pavese

Caporalato e sfruttamento anche nella Vigevano delle scarpe di lusso

Costretti a lavorare fino a 15 ore al giorno e a vivere all'interno degli stessi opifici in condizioni igienico-sanitarie precarie, senza riscaldamento o letti adeguati.

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Caporalato e sfruttamento. Succede un po' ovunque, ma questa volta ha toccato anche Vigevano: terra delle scarpe di lusso. Qui tre persone sono state arrestate per aver costretto i dipendenti a lavorare di giorno e di notte, fino a 15 ore al giorno, senza pause e senza alcun giorno di riposo.

Caporalato nel settore calzaturiero

L'indagine è stata portata avanti dalla Guardia di Finanza di Pavia che, nell'ambito di complesse indagini in tema di intermediazione illecita e sfruttamento di manodopera (il cosiddetto caporalato), dirette dalla Procura della Repubblica di Pavia, ha eseguito tre custodie cautelari in carcere, nei confronti degli amministratori di tre ditte individuali operanti nel settore calzaturiero nel territorio della Lomellina.

Lavoratori sfruttati

Le indagini svolte hanno permesso di dimostrare l'esistenza di tre opifici vigevanesi dediti alla fabbricazione di calzature presso i quali venivano quotidianamente sfruttati i lavoratori dipendenti. I caporali, tutti di origine cinese, costringevano i dipendenti a lavorare indistintamente giorno e notte, dalle 10 alle 15 ore al giorno, senza pause e senza alcun giorno di riposo.

Attraverso le riprese occulte eseguite è stato appurato che i lavoratori fossero costretti a lavorare e a vivere all'interno degli stessi opifici in condizioni igienico-sanitarie precarie, senza riscaldamento o letti adeguati.

L'interno di uno degli opifici

Il modus operandi

E' stato inoltre accertato come le tre ditte individuali agissero attraverso prestanome al fine di nascondere la effettiva direzione aziendale. I titolari, durante i vari controlli spesso si presentavano come collaboratori familiari e in alcuni casi fingevano persino di essere normali impiegati che non comprendevano la lingua italiana.

Inoltre per rendere meno agevoli le verifiche cambiavano spesso denominazione, titolare (inserendo spesso soggetti irreperibili), ragione sociale e partita IVA. Di fatto, però, nulla veniva modificato all'interno degli opifici e le produzioni continuavano senza sosta.

Compensi irrisori

I dipendenti di etnia cinese ricevevano compensi irrisori molto al di sotto della soglia fissata dai Contratti Collettivi Nazionali. Per di più, non venivano pagati in base alle ore lavorative prestate, bensì in funzione dei pezzi prodotti o lavorati che venivano annotati su appositi registri.

Tale modus operandi, da un lato spronava il dipendente a produrre quanto più possibile senza badare alla qualità dei prodotti finiti, dall'altro consentiva ai caporali di sfruttare i lavoratori sino allo sfinimento.

I tre caporali sono stati individuati come i veri amministratori di fatto degli opifici e trasferiti in carcere.

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