Brigate rosse a processo dopo mezzo secolo: Curcio a giudizio per Cascina Spiotta
I fatti risalgono a una tragica sparatoria legata al rapimento Gancia dove morirono un appuntato dei Carabinieri e l'ex moglie del capo Br
Cinquant'anni per un processo. Se non fosse una vicenda tremendamente seria con in mezzo pure due morti, ci sarebbe (quasi) da ridere.
Ma da ridere purtroppo c'è ben poco. Perché appunto dopo 50 anni è stato disposto il rinvio a giudizio di tre ex brigatisti rossi per una sparatoria.
E ad andare a processo ci saranno Renato Curcio e Mario Moretti, due tra i nomi più notti degli anni di piombo che hanno drammaticamente segnato l'Italia.
Una storia all'italiana, Br a processo dopo mezzo secolo
I fatti risalgono appunto al 1975, alla sparatoria alla Cascina Spiotta, nelle colline del Monferrato, in Piemonte; uno scontro a fuoco con un tragico epilogo dal momento che vi perse la vita l'appuntato dei carabinieri Giovanni d'Alfonso.
L'appuntamento in Aula è fissato per il 25 gennaio. Curcio e Moretti saranno processati dalla Corte d'Assise di Alessandria.
Insieme a loro ci sarà un altro militante delle Brigate Rosse, Lauro Azzolini, mentre un quarto imputato, Pierluigi Zuffada, è stato prosciolto perché l'accusa nei suoi confronti, secondo quanto formulato dalla Procura, è stata considerata prescritta.
Cosa accadde a Cascina Spiotta
Come detto, lo scontro a fuoco tra Brigatisti e Carabinieri avvenne a Cascina Spiotta, sulle colline del Monferrato, vicino ad Acqui Terme in Piemonte.
All'origine della tragica sparatoria fu il rapimento dell'imprenditore Vittorio Vallarino Gancia (imprenditore di un'azienda leader nel settore vinicolo e dello spumante) da parte delle Br.
Si trattava del primo rapimento organizzato dal gruppo terroristico per autofinanziarsi.
Oltre all'appuntato D'Alfonso morì anche Mara Cagol, l'ex moglie di Curcio.
Un tragico rapimento 50 anni dopo
Su questa vicenda c'è sempre stato però il mistero su chi fosse il secondo brigatista che con la Cagol aveva catturato l'industriale e avesse poi sparato contro gli uomini dell'Arma.
Ora forse la soluzione, anche se appunto dopo mezzo secolo.
Secondo i pm, Ciro Santoriello ed Emilio Gatti, che hanno coordinato le indagini del Ros dei Carabinieri, il primo ad aprire il fuoco sarebbe stato Azzolini riuscendo poi a fuggire dalla Cascina.
Col tempo però Bruno D'Alfonso, figlio del militare rimasto ucciso, aveva presentato un esposto alla Procura con nuovi elementi da integrare alle indagini fino ad allora svolte.
Da qui dunque una nuova inchiesta che vede coinvolti anche Curcio e Moretti.
Loro è assodato che alla Cascina non ci fossero, ma gli viene contestato di aver dato l'ordine di sparare in caso di uno scontro con i Carabinieri.
Il proscioglimento, le intercettazioni fino ai nostri giorni
Val la pena ricordare, essendo appunto passati 50 anni, che Azzolini, oggi 80enne, è già stato prosciolto per questa vicenda, ma negli anni i giudici ne hanno chiesto per due volte, senza successo, l'arresto.
Una curiosità, la sentenza di proscioglimento, arrivata nel 1987, è andata persa in occasione di un'alluvione che colpì il Piemonte.
I giudici ancora oggi fanno leva su elementi che ritengono fondamentali per l'impianto accusatorio: in primis il fatto che sul memoriale che ricostruiva la vicenda e che fu rinvenuto nel covo milanese dove era stato arrestato Curcio ci sono 11 impronte digitali dello stesso Anzolini.
Ma non solo. In tempi più recenti sono state acquisite agli atti alcune intercettazioni telefoniche dove Azzolini al telefono con un amico parlava proprio di quanto avvenuto a Cascina Spiotta.
Documentazioni che la difesa ha già evidenziato come siano state dichiarate inutilizzabili in precedenza dai giudici.
Nel processo i Pm potrebbero chiedere l'ergastolo per gli imputati.
Il commento della difesa e delle parti civili
La difesa dunque prosegue sulla linea portata avanti da anni, pur prendendo atto del rinvio a giudizio ed evocando i Promessi Sposi:
"Al contrario del matrimonio tra Renzo e Lucia questo processo s'ha da fare, ma è completamente inutile".
Diverso il commento degli avvocati di parte civile, Guido Salvini e Nicola Brigida:
"È una decisione importante per conoscere, sebbene a distanza di tanti anni, cosa avvenne. Il processo esprime un desiderio certo non di vendetta, ma di verità e di giustizia, e che speriamo che anche nell'aula della Corte d'Assise non trovi solo una sterile opposizione da parte degli imputati, che pure nei processi hanno goduto di benefici come presunti dissociati dal terrorismo".