Band mascherata che inneggia alle Br: concerto annullato a Milano, indagini in Piemonte ed Emilia
Nel mirino della Digos il gruppo trap che si esibisce in modo anonimo e con passamontagna bianco.
Dopo essere stati identificati dagli agenti della Digos di Bologna, non si placano le polemiche sul gruppo trap P38-La Gang, rapper dal volto coperto da un passamontagna bianco che nelle loro canzoni inneggiano alle Brigate Rosse.
Finiti sotto indagine per istigazione al terrorismo dopo un concerto a Reggio Emilia lo scorso Primo Maggio, erano già stati precedentemente denunciati da Bruno D'Alfonso, figlio di Giovanni, il carabiniere di 44 anni ucciso dalle Br il 5 giugno 1975 in un conflitto a fuoco alla cascina Spiotta di Arzello, nell'Alessandrino, durante la liberazione dell'industriale Vittorio Vallarino Gancia.
Oltre a ciò, la Procura di Torino, per prima, aveva aperto su di loro un'inchiesta per istigazione a delinquere facendo riferimento al testo di una loro altra canzone contro la Tav che si intitola, non a caso, "Dana libera Freestyle", in omaggio alla portavoce del movimento Dana Lauriola contro l'alta velocità finita dietro le sbarre e ora scarcerata.
Per ora cala il silenzio, almeno "live" sulla controversa formazione: il tam tam mediatico ha, infatti, causato l'annullamento di un concerto che la band doveva tenere a Segrate, alle porte di Milano, il 27 maggio, nell'ambito di un festival giovanile.
P38-La Gang: identificati dalla Digos i rapper pro-Br
Ma andiamo per gradi.
Avevano fatto ampiamente parlare di loro domenica Primo Maggio durante la "Festa dell'Unità comunista" al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia. Da quel momento il gruppo trap P38-La Gang era finito al centro dell'attenzione mediatica per i temi trattati nelle sue canzoni, che inneggiano alle Brigate Rosse, con tanto di bandiera esposta.
Di fronte all'ondata di accuse, si erano difesi così:
"Siamo estremi? Sì. Siamo provocatori? Sì. Tutto questo è voluto. Il fatto stesso che qualcuno si indigni è, in un certo senso, previsto. Siamo qui per creare slanci. Se davvero fossimo componenti di un gruppo armato clandestino forse strillarlo nei pezzi e sui palchi non sarebbe la migliore strategia da adottare".
A due settimane da quei fatti, poi, la questione è tornata di attualità: proprio il 9 maggio 2022, nell'anniversario del ritrovamento del corpo di Moro, gli agenti della Digos di Bologna e Reggio Emilia avevano identificato uno dei componenti del gruppo. Ora tutti e quattro, che si esibiscono incappucciati e in modo anonimo, hanno un nome e un volto. E sono finiti sotto indagine per istigazione al terrorismo. Reato per cui rischiano pene fino a cinque anni.
I componenti del gruppo, i cui nomi d’arte sono Astore, Papà Dimitri, Jimmy Pentothal e Yung Stalin, sono tutti incensurati e residenti nel Bolognese, non tutti di origine emiliana, considerati vicini agli ambienti dei centri sociali e dei collettivi antagonisti ma non legati a particolari gruppi organizzati.
Sono stati denunciati dal figlio del carabiniere Giovanni D'Alfonso
I membri della P38-La Gang sono però finiti nel mirino anche di chi, negli anni di piombo, ha pianto e tuttora piange i propri cari uccisi o gambizzati.
Tra loro c'è anche Bruno D'Alfonso, il figlio di Giovanni, il carabiniere di 44 anni ucciso dalle Br il 5 giugno 1975 in un conflitto a fuoco alla cascina Spiotta di Arzello, nell'Alessandrino, durante la liberazione dell'industriale Vittorio Vallarino Gancia.
Bruno, anche lui carabiniere (in pensione), ora ha 57 anni e lo scorso 29 aprile 2022 aveva depositato una denuncia in questura a Pescara, contro la band. Il giorno successivo aveva fatto lo stesso a Reggio Emilia, nella speranza di bloccare il concerto del gruppo in programma il primo maggio:
"Non ci sono riuscito - aveva dichiarato - Fino a qualche settimana fa non sapevo neanche chi fossero. Poi mio figlio mi ha detto che si erano esibiti il 25 aprile in un locale di Pescara. Abbiamo scritto al titolare del circolo, ma lui ha sminuito dicendo che era solo una provocazione politica. Per me è istigazione al terrorismo".
L'ex carabiniere ha ascoltato alcuni brani dei P38 e li ha seguiti sui social, scoprendo che la musica era affiancata da un merchandising di t-shirt con il volto di Bruno Curcio oppure con la P38 e la stella a cinque punte.
"Non solo è offensivo, è pericoloso. Per chi si culla in certi ideali, passare dalle parole ai fatti non è difficile. Quei ragazzi inneggiano agli anni di piombo".
Ed è stato proprio grazie ai suoi esposti e alle sue denunce che i quattro rapper mascherati pro-Br sono stati identificati. Gli atti sono stati trasmessi alla Procura di Torino che, già da dicembre, attraverso l'azione dei pm Enzo Bucarelli e Paolo Scafi stava indagando sul gruppo: l'ipotesi di reato è istigazione a delinquere.
I P38-La Gang sotto inchiesta per una canzone No Tav
Come detto, quindi, i primi in Italia ad aver cominciato ad indagare sul gruppo trap sono stati i pm torinesi Enzo Bucarelli e Paolo Scafi. Quest'ultimi erano stati anche attirati da una canzone della band contro la Tav che si intitola, non a caso, "Dana libera Freestyle", in omaggio alla portavoce del movimento contro l'alta velocità, Dana Lauriola, che ha da poco terminato di scontare la sua pena.
I "P38" cantano così:
"Meglio morto che carabiniere. A Chiomonte lancio bombe nel cantiere", e ancora: "Date due anni a Dana perché Dana abitava nella sua casa. L'avete presa ma non ve la lasceremo. Sbirri fanno scemo e più scemo. Tutta Italia è Bussoleno. No Tav fino alla fine, fanculo ai tuoi partiti. Voglio vedere le carceri crollare a pezzi".
L'obiettivo degli inquirenti è stato quindi accertare se i rapper avessero partecipato a cortei contro la Tav e quali fossero i loro legami con il movimento contro il cantiere.
Annullato il loro concerto a Milano
Dopo le grandi polemiche esplose nei loro confronti, l'organizzazione del Mi Ami Festival di Segrate (Milano) ha deciso di sospendere l'esibizione del gruppo trap P38-La Gang.
Prima che tutte le pagine venissero oscurate, la band ha provato a difendersi, affermando che i pre-adolescenti di oggi ascoltano abitualmente brani che inneggiano a reati "ben più gravi", come ad esempio lo stupro.
Ma è servito a ben poco, in quanto a causa di questi avvenimenti, il Mi Ami Festival ha deciso di escludere dall'evento la band, che continua ad essere sottoposta a indagini.
Contro il collettivo anche il figlio di Marco Biagi
La canzone più famosa dei P38 parla del rapimento Moro e s' intitola Renault, in riferimento alla vettura in cui venne trovato il corpo del leader della DC:
"Presidente non mi sembra stanco, la metto dentro una Renault 4".
"Zitto zitto pagami il riscatto, zitto zitto sei su una R4".
“Piazzo una carica dentro al Senato. Scappo veloce, fra, resto basso".
Inaccettabile anche per Lorenzo Biagi, che ha vissuto sulla propria pelle i colpi delle Brigate Rosse.
Il 19 marzo 2002, infatti, suo padre, il giuslavorista Marco Biagi, docente dell'Università di Modena e Bologna, venne ucciso proprio per mano delle nuove Br, quando lui era ancora un bambino. Queste le parole del ragazzo sulla sua pagina Facebook:
"La cosa schifosa è che il titolare del locale di Reggio che li ha invitati il I Maggio li ha pure difesi in seguito alla loro esibizione, dicendo che è 'solo' una provocazione".