VICENDA SHOCK

Una settimana dopo già sul trattore: salvato dal Covid con plasma iperimmune. Ma un primario: "Non si ripeta"

La cura ha funzionato su un paziente immunocompromesso che non riusciva a negativizzarsi. Ma non tutti hanno gradito...

Una settimana dopo già sul trattore: salvato dal Covid con plasma iperimmune. Ma un primario: "Non si ripeta"
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Malato di Covid e immunocompromesso, è stato curato con il plasma iperimmune e una settimana dopo era di nuovo sul suo trattore. Ma la vicenda ha creato più di una polemica, anche all'interno dell'ambiente medico.

Curato col plasma iperimmune, dopo una settimana è di nuovo sul trattore

Teatro della vicenda Portoferraio, in Toscana. Qui un sessantenne dell'Isola d'Elba, malato di leucemia e positivo al Covid da mesi (non riusciva proprio a negativizzarsi), ha chiesto al comitato etico dell'Area Vasta Nord Ovest che gli venisse somministrato il plasma iperimmune come cura caritatevole. E il dottor Giovanni Belcari, medico del Pronto soccorso, lo ha fatto. E per fortuna, dato che il paziente, che faticava a respirare, una settimana dopo era guarito e tornato sul suo amato trattore.

Le polemiche tra medici

Se per il paziente la vicenda è finita qui (per fortuna), lo stesso non si può dire del medico. La scelta di Belcari ha provocato più di una reazione contraria da parte dei colleghi e anche una dura mail da parte del primario di Malattie infettive di Livorno Spartaco Sani, che ha scritto testualmente: "La cosa non si ripeta". 

L’Asl Nord Ovest ha avviato un approfondimento  sulla vicenda per valutarne l'aspetto scientifico e anche  per capire se il  plasma  possa essere utilizzato in maniera compassionevole.

Cosa è il plasma iperimmune e perché se ne discute

Durante i mesi della prima ondata di Covid, quando ancora si brancolava nel buio, venne sperimentata la  terapia con il plasma iperimmune dei guariti. Aveva avuto grandissima eco la notizia che riguardava una donna incinta al sesto mese che aveva contratto il Covid e si era negativizzata grazie alla terapia con il plasma iperimmune somministratale dal dottor Giuseppe  De Donno e dalla sua equipe.

La terapia prevede l'infusione di sangue di contagiati dal Covid, contenente anticorpi, in altri pazienti infetti. Una cura che durante l'emergenza sanitaria aveva effettivamente salvato diversi malati Covid. Non si tratta però di una cura miracolosa, ma di un valido strumento aggiuntivo, da non contrapporre ai test, altre terapie di supporto ed eventuale futuro vaccino.

La comunità scientifica ha però iniziato a invitare alla cautela rispetto a questa pratica, mettendone in evidenza oggettivi limiti.

Un recente studio ha però confermato la sicurezza della plasmaterapia, con una bassa incidenza di reazioni alla trasfusione (circa l’1 per cento, tutte di grado lieve) e una ridotta mortalità. Nello studio - realizzato a Mantova e dedicato proprio alla memoria di De Donno - sono stati inoltre analizzati i fattori legati a una migliore risposta all’immunoterapia con plasma iperimmune: un’età dei pazienti inferiore ai 68 anni e un trattamento precoce (meno di 7 giorni dall’infezione) con plasma ricco di anticorpi neutralizzanti (titolo superiore a 320) erano collegati a una prognosi migliore.

Nuovi studi più settoriali sembrano inoltre indicare una parziale efficacia sulle persone immunocompromesse, in particolare se affette da malattie oncoematologiche.  Come nel caso in questione.

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