Si scioglie la band che inneggiava alle Brigate rosse (e attacca magistrati e giornalisti)
Finiti nel mirino della Digos per i continui riferimenti alle Brigate Rosse, in più occasioni i loro concerti erano stati cancellati.
"Il progetto P38 è giunto al termine".
Con un comunicato stampa sul loro profilo Instagram ufficiale, il gruppo trap P38-La Gang ha annunciato di essersi sciolto. Troppo pesante la situazione creatasi attorno di loro dopo la bufera mediatica e giudiziaria formatasi per le loro canzoni e i loro concerti nei quali inneggiavano alle Brigate Rosse.
Sui membri del gruppo e sulla loro musica avevano cominciato ad indagare prima la Procura di Torino, per un brano contro la Tav, poi gli agenti della Digos di Reggio Emilia che aveva aperto un'inchiesta per istigazione al terrorismo dopo un concerto a Reggio Emilia lo scorso Primo Maggio.
I membri di P38-La Gang erano finiti anche nel mirino di chi, negli anni di piombo, ha pianto e tuttora piange i propri cari uccisi o gambizzati: in particolare Lorenzo Biagi e Bruno D'Alfonso, figli del giuslavorista Marco Biagi e del carabiniere Giovanni D'Alfonso, che avevano denunciato il gruppo trap.
Per tutte queste vicissitudini, tantissimi organizzatori di concerti erano arrivati alla decisione di annullare i loro live, come ad esempio il Mi Ami Festival di Segrate (Milano).
Si scioglie la band che inneggiava alle Br: "Il progetto P38 è finito"
Attraverso un post sul loro profilo Instagram ufficiale, Astore, Yung Stalin, Jimmy Pentothal e Dimitri, giovani artisti incensurati e residenti nel Bolognese, hanno annunciato lo scioglimento del gruppo P38-La Gang, il gruppo trap finito nell'occhio del ciclone, dopo il concerto del Primo Maggio al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia, per i temi trattati nelle loro canzoni, che inneggiano alle Brigate Rosse, con tanto di bandiera esposta.
Ecco comunque il testo del vittimistico post d'addio (non si può certo dire che non se la siano andata ampiamente a cercare):
"Il progetto P38 è giunto al termine - si legge su Instagram -. Come saprete, nelle ultime settimane si è accanita su di noi una tempesta mediatica e giudiziaria che ci ha portati a mettere in discussione il proseguimento del progetto P38. Ci avete supportato in moltissimi, ci avere dimostrato un affetto che mai avremmo creduto di poter ricevere. L'affetto però non è bastato.
Il tribunale dei magistrati e quello dei giornalisti incombono sulle nostre vite personali. La versione di noi senza passamontagna rischia di vedere il proprio futuro completamente sconvolto da quelle che potrebbero essere le conseguenze più nefaste di questa situazione.
I nostri telefoni, le nostre abitazioni e i nostri cari sono controllati da reparti digos di tutta Italia. Soltanto nell'ultimo mese abbiamo visto saltare più di dieci date live che avevamo programmato, a volte per volontà degli organizzatori, a volte per motivi di forza maggiore che vi lasciamo immaginare. Tutto il nostro staff si è fatto da parte per timore di ripercussioni legali.
Questa situazione ha anche creato particolari attriti al nostro interno, motivati da una costante scarica di stress dopo l'altra: in poco tempo le problematiche logistiche sono diventate problematiche personali, artistiche e umane. Siamo quindi arrivati alla decisione che per noi quattro forse è giunto il momento di prendere strade separate.
Non possiamo esibirci, non possiamo tutelarci, non possiamo andare avanti. Non prendiamo questa decisione perché vogliamo, ma perché siamo costretti dalla situazione in cui ci siamo ritrovati. Ci togliamo il passamontagna per tornare in mezzo a voi, come persone, come amici, come compagni. Ma non più come P38".
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Un'ondata di polemiche, denunce e indagini
Le motivazioni del loro scioglimento, quindi, fanno riferimento all'ondata di polemiche, denunce e indagini che si era accanita sul gruppo trap negli ultimi mesi. A scatenare l'opinione pubblica contro di loro è stato un loro concerto durante la "Festa dell'Unità comunista" al circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia nel giorno della festa dei lavoratori del Primo Maggio. In quell'occasione erano stati pubblicati online alcuni video del loro concerto: sul palco la P38-La Gang si esibiva con passamontagna bianco, cantando brani che inneggiavano alle Brigate Rosse con tanto di bandiera esposta.
Di fronte all'ondata di accuse, si erano difesi così:
"Siamo estremi? Sì. Siamo provocatori? Sì. Tutto questo è voluto. Il fatto stesso che qualcuno si indigni è, in un certo senso, previsto. Siamo qui per creare slanci. Se davvero fossimo componenti di un gruppo armato clandestino forse strillarlo nei pezzi e sui palchi non sarebbe la migliore strategia da adottare".
I quattro membri del gruppo erano finiti sotto indagine per istigazione al terrorismo da parte degli agenti della Digos di Reggio Emilia e Bologna. Tutti e quattro erano stati così identificati: si trattava di giovani artisti incensurati e residenti nel Bolognese, non tutti di origine emiliana, considerati vicini agli ambienti dei centri sociali e dei collettivi antagonisti ma non legati a particolari gruppi organizzati.
Sotto inchiesta per una canzone No Tav
I primi in Italia ad indagare su di loro, tuttavia, erano stati i pm torinesi Enzo Bucarelli e Paolo Scafi. Quest'ultimi erano stati anche attirati da una canzone della band contro la Tav che si intitola, non a caso, "Dana libera Freestyle", in omaggio alla portavoce del movimento contro l'alta velocità, Dana Lauriola, che ha da poco terminato di scontare la sua pena.
I "P38" cantano così:
"Meglio morto che carabiniere. A Chiomonte lancio bombe nel cantiere", e ancora: "Date due anni a Dana perché Dana abitava nella sua casa. L'avete presa ma non ve la lasceremo. Sbirri fanno scemo e più scemo. Tutta Italia è Bussoleno. No Tav fino alla fine, fanculo ai tuoi partiti. Voglio vedere le carceri crollare a pezzi".
L'obiettivo degli inquirenti è stato quindi accertare se i rapper avessero partecipato a cortei contro la Tav e quali fossero i loro legami con il movimento contro il cantiere.
Le denunce di Lorenzo Biagi e Bruno D'Alfonso
Per le loro canzoni che inneggiavano alle Brigate Rosse, i membri della P38-La Gang erano però finiti nel mirino anche di chi, negli anni di piombo, ha pianto e tuttora piange i propri cari uccisi o gambizzati.
La loro canzone più famosa parla del rapimento Moro e s' intitola Renault, in riferimento alla vettura in cui venne trovato il corpo del leader della DC:
"Presidente non mi sembra stanco, la metto dentro una Renault 4".
"Zitto zitto pagami il riscatto, zitto zitto sei su una R4".
“Piazzo una carica dentro al Senato. Scappo veloce, fra, resto basso".
Inaccettabile anche per Lorenzo Biagi, che ha vissuto sulla propria pelle i colpi delle Brigate Rosse. Il 19 marzo 2002, infatti, suo padre, il giuslavorista Marco Biagi, docente dell'Università di Modena e Bologna, venne ucciso proprio per mano delle nuove Br, quando lui era ancora un bambino. Queste le parole del ragazzo sulla sua pagina Facebook:
"La cosa schifosa è che il titolare del locale di Reggio che li ha invitati il I Maggio li ha pure difesi in seguito alla loro esibizione, dicendo che è 'solo' una provocazione".
Oltre a Lorenzo, tuttavia, anche Bruno D'Alfonso si era accanito contro la P38. Figlio di Giovanni, il carabiniere di 44 anni ucciso dalle Br il 5 giugno 1975 in un conflitto a fuoco alla cascina Spiotta di Arzello, nell'Alessandrino, durante la liberazione dell'industriale Vittorio Vallarino Gancia, Bruno, anche lui carabiniere (in pensione), lo scorso 29 aprile 2022 aveva depositato una denuncia in questura a Pescara, contro la band. Il giorno successivo aveva fatto lo stesso a Reggio Emilia, nella speranza di bloccare il concerto del gruppo in programma il primo maggio:
"Non ci sono riuscito - aveva dichiarato - Fino a qualche settimana fa non sapevo neanche chi fossero. Poi mio figlio mi ha detto che si erano esibiti il 25 aprile in un locale di Pescara. Abbiamo scritto al titolare del circolo, ma lui ha sminuito dicendo che era solo una provocazione politica. Per me è istigazione al terrorismo".