Report Caritas 2024: la nuova povertà che attanaglia il Nord e (anche) chi ha un lavoro
Il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord (998mila) supera quello di Sud e Isole (859mila). Il lavoro non è più un fattore protettivo
Il Rapporto 2024 su Povertà ed esclusione sociale di Caritas italiana racconta di una nuova indigenza, costituita anche da lavoratori e residenti al Nord. Quasi un decimo della popolazione nostrana vive in povertà assoluta: oltre 5,7 milioni di persone.
Report Caritas 2024: una nuova povertà
Dall’analisi dei dati Caritas emerge un quadro preoccupante: tra le mura domestiche il lavoro povero e intermittente dilaga, con salari bassi e contratti atipici che soffocano ogni speranza di una vita dignitosa. I giovani e le famiglie con figli sono le fasce più vulnerabili. Il disagio abitativo assume i contorni di una drammatica emergenza, con migliaia di famiglie senza casa o in condizioni inadeguate.
"La povertà oggi assume sempre più i tratti di un fenomeno poliedrico e dinamico. Ne esistono infatti molteplici definizioni a cui si associano (spesso) altrettanti indicatori o indici costruiti per misurarla. La si può definire in base al reddito oppure alla spesa delle famiglie, può essere intesa in termini unidimensionali o multidimensionali, o ancora secondo un’accezione relativa (si è poveri se si ha meno della media nazionale) o assoluta (si è poveri se non si ha il necessario per vivere)", spiega il report.
Cosa si intende per povertà
In Italia le persone che vivono in una condizione di rischio povertà o esclusione sociale (indicatore AROPE) risultano 13milioni 391mila, pari al 22,8% della popolazione (il valore si attesta sopra la media europea pari al 21,4%)8 . Vengono considerate a rischio povertà o esclusione sociale le persone che sperimentano almeno una delle seguenti situazioni: vivono in famiglie a rischio povertà, cioè hanno un reddito inferiore al sessanta per cento del reddito mediano nazionale; sperimentano condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, ad esempio non poter far fronte a spese impreviste, riscaldare l’abitazione, svolgere attività di svago con familiari o amici; sono all’interno di nuclei a bassa intensità lavorativa, cioè famiglie dove i propri membri lavorano meno di un quinto del loro tempo.
Povertà assoluta
In Italia vengono considerate povere in termini assoluti le persone che hanno livelli di consumo inferiori a uno standard minimo ritenuto indispensabile per una vita dignitosa (per acquistare beni alimentari, accedere ai servizi essenziali, sostenere un’abitazione, ecc); tale parametro è differenziato per tipologia familiare, regione e ampiezza del comune di residenza e tiene conto chiaramente del tasso di inflazione. Ad esempio, è considerato povero un nucleo di due persone, di età compresa tra i 18 e i 59 anni e residente in un piccolo comune della Lombardia, se ha livelli di consumo inferiori a 1.343 euro; se la vita di quello stesso nucleo è proiettata in una grande città metropolitana della stessa regione la soglia sale a 1.602 euro.
In via di peggioramento il Nord
A fronte di una crescita della spesa non si è registrato un miglioramento del tenore di vita degli italiani ma al contrario un suo peggioramento per effetto dell’inflazione (il 2022 si è chiuso con un +8,1% e il 2023 con un +5,7%): infatti, se la spesa media familiare ha registrato una crescita di circa l’otto per cento, in termini di spesa reale la flessione è stata del 10,5%. In questi anni, dunque, pur di fronte a un innalzamento dei consumi delle famiglie il tenore di vita è andato peggiorando. Questo ha riguardato le regioni del Nord più che quelle del Sud Italia; secondo i dati Istat la spesa reale media delle famiglie è diminuita negli ultimi dieci anni del 14 per cento nel Nord, dell’8 per cento nel Centro e del 3 per cento nel Mezzogiorno.
Cala dunque il potere di acquisto delle famiglie e per questo sale la quota di persone che, pur spendendo di più, non riesce a soddisfare le esigenze essenziali quotidiane. Oggi in Italia vive in una condizione di povertà assoluta, quindi senza il minimo per vivere in modo dignitoso, il 9,7% della popolazione, praticamente una persona su dieci. Complessivamente si tratta di 5 milioni 694mila residenti, per un totale di oltre 2 milioni 217mila famiglie (l’8,4% dei nuclei). Il dato, in leggero aumento rispetto al 2022 su base familiare e stabile sul piano individuale. In dieci anni l’incidenza della povertà assoluta in termini individuali è passata infatti dal 6,9% al 9,7% e sul piano familiare dal 6,2% all’8,4%.
Meno potere d'acquisto nel Settentrione
Se si guarda ai dati macroregionali, si nota che così come il potere di acquisto è sceso maggiormente nelle regioni del Nord, anche la povertà assoluta ha registrato maggiori effetti proprio in quelle stesse aree. Dal 2014 al 2023 il numero di famiglie povere residenti al Nord è praticamente raddoppiato, passando da 506mila nuclei a quasi un milione (+97,2%); nel resto del Paese la crescita è stata molto più contenuta: +28,5% nelle aree del Centro e +12,1% in quelle del Mezzogiorno (il dato nazionale è di +42,8%).
Oggi in Italia il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord (998mila) supera quello di Sud e Isole (859mila), mentre dieci anni fa i dati restituivano uno scenario del tutto diverso. L’incidenza percentuale continua a essere ancora più pronunciata nel Mezzogiorno (12,0% a fronte dell’8,9%) anche se la distanza appare molto assottigliata; nove anni fa la quota di poveri nelle aree del Meridione era più che doppia rispetto al Nord: 9,6% contro il 4,2%. Sono dati che colpiscono anche perché in controtendenza con la distribuzione del reddito del Paese, con i dati sulla crescita economica e con l’occupazione.
In tal senso, un elemento interpretativo che può essere richiamato è senza dubbio quello della presenza straniera. Nelle regioni del Nord si concentra infatti quasi il sessanta per cento degli immigrati residenti in Italia (58,6%) e, come è noto, tra loro l’incidenza della povertà è decisamente più alta.
Un altro elemento chiave da sottolineare rispetto allo svantaggio del Settentrione è poi quello delle misure di contrasto alla povertà, in particolare il Reddito di cittadinanza in vigore dal 2019 fino al 2023 (anno a cui si riferiscono gli ultimi dati Istat), che di fatto ha avuto un maggiore impatto proprio nelle regioni meridionali. In tal senso il Nord ha subito un doppio svantaggio; il primo sul fronte della cittadinanza, visto che gli stranieri residenti in quelle aree hanno avuto difficoltà di accedere alla misura a causa del criterio dei dieci anni di residenza; il secondo legato al costo della vita, visto che le regole di calcolo del trasferimento erano le stesse su tutto il territorio nazionale e dunque il suo impatto reale è stato maggiore nelle regioni dove il costo della vita era inferiore (quindi Sud e Isole).
La povertà minorile
Accanto alla questione “settentrionale”, un altro nodo da richiamare è quello della povertà minorile, che da tempo sollecita e preoccupa. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori oggi è ai massimi storici, pari al 13,8%: si tratta del valore più alto della serie ricostruita da Istat (era 13,4% nel 2022) e di tutte le altre fasce d’età.
Lo svantaggio dei minori è da intendersi ormai come endemico nel nostro Paese visto che da oltre un decennio la povertà tende ad aumentare proprio al diminuire dell’età: più si è giovani e più è probabile che si sperimentino dunque condizioni di bisogno. Complessivamente si contano 1 milione 295mila bambini poveri: quasi un indigente su quattro è dunque un minore. Le famiglie in povertà assoluta in cui sono presenti minori sono quasi 748mila, e rappresentano il 34% di tutte le famiglie in povertà assoluta.
Povertà anche fra chi lavora
In aggiunta alla povertà minorile, un altro elemento di allarme sociale che si coglie dagli ultimi dati Istat riguarda i lavoratori: continua infatti a crescere in modo preoccupante la povertà tra coloro che possiedono un impiego. Complessivamente, la povertà tocca l’8% degli occupati (era il 7,7% nel 2022) anche se esistono marcate differenze in base alla categoria di lavoratori; se si ha una posizione da dirigente, quadro o impiegato l’incidenza si attesta al 2,8% (dal 2,6% del 2022), mentre balza al 16,5% (dal 14,7% del 2022) se si svolge un lavoro da operaio o assimilato. Il lavoro che smette di essere
fattore di tutela e di protezione sociale.
Se si confronta l’incidenza della povertà di operai/assimilati e quella dei disoccupati lo scarto è di soli 4 punti percentuali (16,5 a fronte del 20,7%); erano 8,5 nel pre-pandemia (10,6% a fronte del 19,1%). l’Italia risulta l’unico Paese in cui le retribuzioni reali risultano in calo dal 2013. Nel confronto con tale annualità, il potere di acquisto delle retribuzioni lorde è cresciuto nella media Ue27 del 3,0 per cento, mentre in Italia è diminuito del 4,5. Se ci si sofferma sul solo ultimo biennio 2021-2023 caratterizzato da un’alta inflazione il calo in termini reali è stato del -6,4%. A incidere sulle basse retribuzioni concorrono indubbiamente la contenuta intensità lavorativa e la ridotta durata dei contratti, con la diffusione di tipologie contrattuali meno tutelate che penalizzano soprattutto donne, giovani e stranieri. In questo tempo, dunque, è come se l’occupazione nel nostro Paese si stesse polarizzando tra una fascia alta e garantita e una bassa poco tutelata, connotata al contrario da bassi salari, precarietà e part-time involontario.