Pride Month, l'Italia è quel Paese che, nel bene o nel male, ha quel che si merita: l'Irriverente commento di Simone Di Matteo
Giugno è il mese del Pride, quel mese in cui non solo si celebra l'amore, ma ci si rammenta anche dell'utopie ancora irrealizzabili
“Essere belli significa essere se stessi. Non è necessario essere accettati dagli altri, è necessario accettare se stessi” disse una volta, nel corso di una di quelle lunghe chiacchierate che mi avrebbe davvero fatto piacere intrattenere con lui, il monaco buddhista, poeta e attivista vietnamita per la pace Thích Nhất Hạnh, nato Nguyễn Xuân Bảo. Una di quelle lezioni di vita difficili da trascurare ma non altrettanto semplici da applicare alla quotidianità di ogni singolo istante, specialmente se ci si ritrova a vivere, come noi, in un’epoca in cui è più facile condividere uno slogan sui social network che rimboccarsi seriamente le maniche affinché qualcosa cambi (si spera) per il meglio e nel nome del bene comune.
Il Pride ci ricorda che l'amore libero è ancora un'utopia inarrivabile
Giugno, si sa, è il mese del Pride, in memoria della prima Marcia dell’Orgoglio che si tenne nel 1970. È quel periodo dell’anno in cui vari movimenti a difesa dei diritti delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, queer, intersessuali e chi più ne ha, più ne metta, promuovono numerose celebrazioni all’insegna della gioia e del sano divertimento in tutta la Penisola. È quel periodo dell’anno in cui si riaccende, più vivido che mai, il ricordo della strage dello Stonewall Inn, il locale gay più in voga di Manhattan, nella speranza (purtroppo vana) che certi episodi non possano più verificarsi. È quel periodo dell’anno in cui si scende in piazza con la fierezza di poter esprimere il proprio io interiore nella maniera che si ritiene più opportuna benché l’altrui giudizio non richiesto sia sempre dietro l’angolo.
È quel periodo dell’anno in cui si festeggia (o meglio si dovrebbe festeggiare) la libertà, prerogativa INELUTTABILE di ogni singolo essere umano tutelata, per giunta, dall’articolo 21 della Costituzione Italiana (la medesima che i nostri benamati politicanti farebbero bene ad applicare ogni tanto, anziché tentare ridicolosamente di cambiarla a suffragio dei propri ideali), di poter essere semplicemente se stessi nel pieno rispetto della libertà degli altri. Ma al tempo stesso, nostro malgrado, è anche quel periodo dell’anno in cui ci viene puntualmente rammentato come tutto questo, ad oggi, resti solamente un’utopia.
Ci troviamo in una delle peggiori fasi storiche che l’uomo abbia potuto attraversare, nonostante egli ne sia contemporaneamente vittima e fautore. Viviamo in una società inesorabilmente destinata alla rovina. Una realtà in cui si preferisce di gran lunga voltarsi dall’altra parte (piuttosto che tendere una mano) in virtù del proprio tornaconto personale, dove lo spirito di indipendenza individuale viene frequentemente confuso con la possibilità di arrogarsi il diritto di poter giudicare, dire e fare tutto ciò che si vuole, non tenendo conto del fatto che spesso, grazie alle nostre indelicate esternazioni, finiamo per ledere la dignità e l’integrità di chi, al di là della nostra disapprovazione, non è causa dei nostri fallimenti. Una dimensione, insomma, in cui la lotta classista ha assunto le sembianze di una lotta tra etichette e in cui quella “paura dell’altro che genera il diverso” la fa da padrona.
E che dire dell’Italia? Un Paese sull’orlo del baratro e che non ha più nulla da offrire, perlomeno a coloro la cui unica “colpa” è quella di voler vivere la propria vita alla luce del giorno e nell’ottica della più assoluta verità.
A pensarci bene, l’Italia è quel Paese dove i Santi vengono mandati al rogo e gli Empi vengono glorificati, un po’ quel che avvenuto con la beatificazione post mortem del “tutto fuorché beato” Cavalier Silvio Berlusconi, le cui penose esternazioni sulla comunità LGBT+ non mancheranno di sicuro a nessuno.
L’Italia è quel Paese in cui Giorgia Meloni in un primo momento si proclama garante degli interessi di TUTTI i cittadini per poi, subito dopo, adoperarsi strenuamente per minare le fondamenta di una fetta di quella comunità che è stata chiamata a rappresentare.
Non a caso, l’Italia è quel Paese in cui si alimentano lo spettro dell’utero in affitto e lo spauracchio della maternità surrogata per intaccare, seppur indirettamente, la solidità dei diritti civili.
L’Italia è quel Paese che, benché sia stato condannato con una risoluzione dal Parlamento Europeo, appoggia l’Ungheria di Viktor Orbán portandosi, di conseguenza, sullo stesso piano dell’Uganda in materia di norme pro-LGBT+.
L’Italia è quel Paese in cui celebrità del calibro di Arisa si ergono a modello delle più nobili cause sulla scia della tendenza più in voga del momento, oscillando qua e là nemmeno fossero le bandiere arcobaleno che oscillano al vento sui carri del Pride. Dev’essere stata, in effetti, un’ondata di femminismo a portarla a sostenere il primo Presidente del Consiglio donna della nazione, facendole dimenticare, forse per un attimo, le convinzioni che l’hanno da illo tempore animata.
L’Italia è quel Paese in cui i transessuali vengono ancora presi a manganellate dalle forze dell’ordine, il che non stupisce viste le violente retate contro gruppi di studenti pacifici lo scorso anno, e dove l’autorità centrale, quella che si definisce democratica e giusta sebbene assuma sempre più le fattezze di un organo autoritario, si congratula con loro, o peggio le difende.
L’Italia è quel Paese in cui una regione, barricata dietro la buona scusa del dissenso, revoca il patrocinio per il Pride di Roma con l’augurio di non incappare nelle ripercussioni dell’Esecutivo. Fortunatamente, però, l’Italia è anche quel Paese che non ha paura di far sentire la propria voce e che ha portato, lo scorso 10 giugno, un milione di persone ad unirsi al corteo della Capitale.
In conclusione, nel bene o nel male, l’Italia è quel Paese che finalmente ha quel si merita. Perciò, non sprecate il vostro tempo a cercare di convincere quei sordi che non ne vogliono assolutamente sapere di ascoltare. Piuttosto, trattateli con amore e umana compassione, le stesse qualità che chi ci condanna, sotto l’egida del Family Day e della famiglia tradizionale venerata al pari di una setta, millanta di possedere, ma in realtà non conosce affatto!!! W il Pride