Il 5 novembre 2025 la medicina generale italiana si ferma. Lo Snami – Sindacato nazionale autonomo medici italiani – ha indetto uno sciopero generale dei medici di famiglia per protestare contro l’introduzione del cosiddetto “ruolo unico”, previsto dalla nuova Convenzione nazionale e in fase di recepimento da parte delle Regioni.
Secondo i sindacati, questa riforma metterebbe in pericolo l’autonomia dei professionisti e il rapporto diretto con i cittadini, snaturando il ruolo stesso del medico di base, tradizionalmente punto di riferimento per milioni di italiani.
Perché domani i medici di base faranno sciopero in tutta Italia
Il presidente nazionale dello Snami, Angelo Testa, denuncia il rischio di trasformare il medico di famiglia in “un semplice ingranaggio amministrativo, dipendente dal sistema ma privo delle tutele di un dipendente pubblico”.

In questa prospettiva, la figura del medico territoriale perderebbe libertà professionale e capacità di gestione autonoma dei propri pazienti.
Il sindacato chiede inoltre maggiori tutele per maternità e genitorialità, una semplificazione burocratica reale, una digitalizzazione sostenibile e, soprattutto, una riforma della formazione in medicina generale, ancora priva di riconoscimento universitario pieno.
“La medicina di famiglia rischia di estinguersi – avverte Testa –. È il momento di scegliere se vogliamo un sistema sanitario fatto di algoritmi o di persone”.
“Meno tempo per i pazienti, più burocrazia”: la voce dei medici lecchesi
Per capire come questa riforma potrebbe impattare sulla quotidianità dei medici e dei pazienti, i colleghi di Prima Lecco hanno raccolto la testimonianza della dottoressa Laura Rossi, medico di medicina generale a Cernusco Lombardone e presidente provinciale dello Snami Lecco.
“Non è una decisione presa a cuor leggero – spiega –. I rischi non riguardano solo noi, ma anche i cittadini, che in molte zone d’Italia sono già ‘orfani’ di un medico di base”.
Secondo Rossi, il nodo principale è proprio il “ruolo unico”, che obbligherebbe i medici a completare un certo numero di ore in strutture pubbliche, come Case di comunità o scuole, in base al numero di pazienti seguiti.
“Se ho 1.500 assistiti, dovrei coprire sei ore settimanali in una struttura pubblica, ma nessuno sa dove o con quali mansioni. Le risorse umane e i tempi restano gli stessi: ogni ora in più lì dentro sarà un’ora in meno per i pazienti”, spiega la dottoressa.
Il timore è che il nuovo modello riduca il tempo per le visite, indebolendo il rapporto di fiducia costruito negli anni tra medico e assistito.

“Ogni ora tolta all’ambulatorio o alle visite domiciliari è tempo sottratto alla cura.”
Rossi parla anche di una progressiva perdita di identità professionale:
“Stiamo diventando figure ibride: con gli obblighi di un dipendente, ma senza le sue tutele, e con le spese di un libero professionista, ma senza la libertà vera. Non esistono protezioni per malattia o maternità, eppure la categoria è sempre più femminile. È un sistema che non regge più”.
Il problema riguarda anche il ricambio generazionale.
“Un giovane medico oggi non vede prospettive nella medicina generale: troppe ore, poca tutela, nessun riconoscimento accademico. Il nostro titolo non è equiparato a una specializzazione universitaria, e questo penalizza anche chi volesse intraprendere la carriera accademica”.
Infine, un tema trasversale: la burocrazia digitale.
“La tecnologia dovrebbe semplificare, ma in realtà ci fa perdere tempo. I sistemi informatici non dialogano tra loro e spesso dobbiamo inserire più volte gli stessi dati. Molti di noi finiscono per lavorare la sera o nei weekend, senza alcun riconoscimento. Altro che 38 ore settimanali: il medico di famiglia lavora molto di più, ma nessuno lo vede”.
Per la presidente lecchese dello Snami, il futuro della professione è incerto:
“Se non cambia l’impostazione, la medicina territoriale rischia di collassare. Già oggi migliaia di cittadini, soprattutto in Lombardia, non hanno più un medico di base. Se sparisce il medico di famiglia, sparisce il primo presidio di fiducia del sistema sanitario”.
I numeri della crisi secondo la Fondazione Gimbe
Il grido d’allarme della categoria trova conferma nei dati della Fondazione Gimbe, che descrivono una situazione sempre più critica per la medicina di base in Italia.
Secondo l’ultimo rapporto, mancano oltre 5.500 medici di famiglia in 17 regioni, con le carenze più gravi in Lombardia, Veneto, Campania, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana. Più della metà dei professionisti (52%) ha già superato il massimale di pazienti previsto, e nei prossimi due anni oltre 7.000 medici andranno in pensione.
Non va meglio sul fronte della formazione: nel 2024 il 15% delle borse per la medicina generale è rimasto scoperto, con picchi del 40% in alcune aree del Paese.
Per il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta, si tratta di “una crisi strutturale della medicina di base, segnata da pensionamenti, scarso ricambio e carichi di lavoro ormai insostenibili”.
Insomma, i dati confermano quanto sia urgente un ripensamento complessivo del modello di medicina territoriale, per garantire ai cittadini un sistema sanitario che resti umano, vicino e accessibile.
Modalità
Lo sciopero del 5 novembre coinvolgerà tutto il Paese. Gli studi dei medici di base resteranno chiusi dalle 8 alle 20, ma saranno garantite le visite domiciliari urgenti, l’assistenza ai malati terminali e le prestazioni domiciliari integrate.
Anche i medici dell’emergenza territoriale, dei servizi penitenziari e dei presidi pubblici potranno aderire alla protesta, assicurando comunque i servizi essenziali. Se non arriveranno correttivi, lo Snami ha già annunciato nuove giornate di mobilitazione.