Per ridurre le emissioni di gas serra la Nuova Zelanda vuole tassare... i rutti di mucche e pecore
La metà delle esalazioni di metano nel Paese viene dall'agricoltura: il governo prevede incentivi per chi ridurrà le emissioni attraverso additivi per mangimi.
A leggere una notizia simile, ai più, con molta probabilità, scapperà un sorriso, eppure, la proposta, qualora venisse messa in atto, rappresenterebbe una delle soluzioni concrete per salvare il clima. Sebbene il gas fossile e il biometano siano i principali elementi da cui viene emesso metano (CH4), insieme alle operazioni nel settore del petrolio e del carbone, uno dei motivi delle esalazioni deriva anche dall'agricoltura e dagli animali: una mucca adulta, infatti, può arrivare a produrre fino a 500 litri di metano al giorno.
Per queste ragioni il piano avanzato dal governo della Nuova Zelanda non appare poi così fuorviante. Lo Stato neozelandese, per l'appunto, ospita poco più di 5 milioni di persone e oltre 10 milioni di bovini e 26 milioni di pecore: dati alla mano, quasi la metà delle emissioni totali di gas serra del Paese proviene dall'agricoltura. Per contenere il più possibile le esalazioni, quindi, il governo della Nuova Zelanda ha proposto una tassa sui rutti di bovini e ovini: una decisione che dovrà essere ancora confermata, ma che, se dovesse passare, rappresenterebbe il primo caso di imposta agli allevatori per le emissioni dei loro animali.
Ridurre le emissioni di gas serra, la trovata della Nuova Zelanda
Al momento resta ancora tutto nel calderone delle proposte, con la decisione definitiva che arriverà solamente il prossimo mercoledì 15 giugno 2022. La Nuova Zelanda ha infatti annunciato un piano per ridurre le emissioni di gas serra, in particolare di metano (CH4), nell'atmosfera. Una proposta che, a leggerla così, ha generato qualche ilarità, ma che, se dovesse passare, rappresenterebbe forse una soluzione concreta per salvare il clima.
Il governo neozelandese, per l'appunto, ha in mente di imporre una tassa agli allevatori e agricoltori relativa ai rutti di bovini e ovini. Un'iniziativa che non giunge completamente a caso in quanto le eruttazioni di questi animali rappresentano una delle maggiori fonti di gas serra del Paese. Dati alla mano, infatti, in Nuova Zelanda ci sono circa 5 milioni di persone, ma bensì 10 milioni di bovini e 26 milioni di pecore. Quasi la metà delle emissioni dello Stato, quindi, deriva dall'agricoltura. A spiegare il piano è stata il ministro neozelandese per i cambiamenti climatici James Shaw
"Non c'è dubbio che dobbiamo ridurre la quantità di metano che stiamo immettendo nell'atmosfera e un efficace sistema di tariffazione delle emissioni per l'agricoltura giocherà un ruolo fondamentale nel modo in cui raggiungeremo questo obiettivo".
La proposta concreta
Concretamente, la proposta del governo neozelandese prevede che, a partire dal 2025, a pagare le tasse sui rutti degli animali saranno gli agricoltori. Il piano, tuttavia, considera anche tutta una serie di incentivi per coloro che raggiungeranno l'obiettivo di ridurre le emissioni di metano attraverso additivi per mangimi, mentre piantare alberi nelle fattorie potrebbe essere utilizzato per compensare le esalazioni.
L'impegno verso il contrasto all'inquinamento da parte del governo della Nuova Zelanda si è fatto molto forte a partire dallo scorso mese quando il ministro delle finanze della Nuova Zelanda ha impegnato 2,9 miliardi di dollari neozelandesi (1,5 miliardi di sterline; 1,9 miliardi di dollari) per iniziative per affrontare il cambiamento climatico, che sarebbero stati finanziati da un sistema di scambio di quote di emissioni che tassava gli inquinatori.
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Per quale motivo tassare le eruttazioni di bovini e ovini?
Una tassa di questo genere non risulta campata per aria a caso. Se qualcuno non lo sapesse, infatti, il metano (CH4) è la componente principale del gas naturale (gas fossile) e del biometano (gas prodotto da rifiuti agricoli). Tuttavia, anche le operazioni nel settore del petrolio e del carbone ne rilasciano grandi quantità. Tale sostanza è prodotta soprattutto dai flussi di rifiuti, in particolare dalle discariche all'aperto, e dall'agricoltura. Significativi quantitativi di emissioni di fondo di metano sono generate anche dalle paludi e dagli animali.
Se per petrolio, gas e carbone, contenere le esalazioni è una questione più rapida, meno lo è per quanto riguarda l'agricoltura poiché la carne resta una delle principali componenti dell'alimentazione umana a livello mondiale. Il bestiame, allevato in grandissime dimensioni anche per mezzo di strutture intensive, rappresenta una notevole fonte di metano. Anche se se mucche, i maiali o gli altri animali da allevamento sono di piccole dimensioni e producono solo piccole quantità di metano, l'effetto combinato del settore agricolo resta comunque considerevole. Nel 2019, ad esempio, il metano nell'atmosfera ha raggiunto livelli record, circa due volte e mezzo al di sopra di quelli dell'era preindustriale. A preoccupare gli scienziati è che in un periodo di 100 anni, il metano è 28-34 volte più caldo della CO2.