REPORT LEGAMBIENTE

Pendolaria: quali sono le linee ferroviarie peggiori d’Italia

"Al Ponte sullo Stretto destinati 15 miliardi di euro per poco più di 3 km, con un terzo di quella cifra sono in realizzazione 250 km di nuove linee tranviarie"

Pendolaria: quali sono le linee ferroviarie peggiori d’Italia

Il trasporto ferroviario italiano continua a perdere terreno, tra sottofinanziamento cronico, scelte infrastrutturali sbilanciate e un servizio quotidiano sempre più fragile per milioni di pendolari. È questo quanto emerge dal Rapporto Pendolaria 2025 – 20ª edizione di Legambiente, presentato a Roma nella cornice simbolica della Stazione Termini, che fotografa un sistema in forte difficoltà e individua le linee ferroviarie peggiori d’Italia, quelle dove disservizi, ritardi e promesse mancate sono ormai strutturali.

Tagli continui al Fondo Nazionale Trasporti

Il quadro generale è segnato da un dato chiave: il Fondo Nazionale Trasporti, principale strumento di finanziamento del trasporto pubblico locale su ferro e gomma, vale oggi il 35% in meno rispetto al 2009 in termini reali e, senza correttivi, nel 2026 la perdita salirà al 38%. Dopo i tagli del 2010, le risorse non sono mai state pienamente reintegrate: dai 6,2 miliardi del 2009 si è scesi a 4,9 miliardi nel 2020, con un parziale recupero a 5,18 miliardi nel 2024, insufficiente però a compensare l’inflazione. Per tornare ai livelli reali di quindici anni fa servirebbero almeno 3 miliardi di euro aggiuntivi.

Il leader della Lega Matteo Salvini ieri sul palco durante il suo intervento
Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti

A peggiorare il quadro, la legge di Bilancio 2026 non rafforza il Fondo e anzi definanzia interventi cruciali: 425 milioni di euro tolti alla metro C di Roma (tratta Piazzale Clodio–Farnesina), lo stop al prolungamento della M4 di Milano fino a Segrate e al collegamento ferroviario Afragola–Napoli. Nel solo 2024, inoltre, hanno circolato 185 treni regionali in meno rispetto al 2023, a causa della dismissione dei convogli più vecchi non compensata da nuovi acquisti.

Investire nel ferro nelle città è una scelta necessaria sul piano ambientale, economico e sociale – sottolinea Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente –. Metropolitane, tranvie e ferrovie urbane migliorano la qualità della vita, riducono traffico, inquinamento e costi sanitari e garantiscono un accesso più equo alla mobilità. Continuare a rinviare o definanziare questi interventi, come sta avvenendo con le scelte più recenti sulla legge di bilancio, significa scaricare i costi della mobilità sulle persone, non solo quelli economici ma anche ambientali e sanitari”.

È una questione di scelte, non di risorse disponibili, visto che si continua, intanto, a investire sul Ponte sullo Stretto di Messina, nonostante le criticità che abbiamo più volte evidenziato non solo noi associazioni ma anche la Corte dei Conti. Chiediamo al Governo di cambiare rotta: investire nel trasporto pubblico locale, a partire da quello su ferro e rafforzare il Fondo Nazionale Trasporti per una mobilità urbana pubblica più inclusiva e sostenibile, fatta di nuovi binari, interconnessioni tra le reti e integrazione con la mobilità dolce”.

Legambiente: “Si privilegia grandi opere a scapito della aree urbane”

In questo contesto, la politica infrastrutturale “continua a privilegiare le grandi opere stradali e autostradali, a partire dal Ponte sullo Stretto di Messina, che assorbe 15 miliardi di euro per poco più di 3 chilometri“, oltre a progetti come la Pedemontana Veneta, la Bre.Be.Mi. e la Pedemontana Lombarda.

Una scelta che, secondo Legambiente, drena risorse dalle aree urbane e metropolitane, dove si concentra la domanda di mobilità quotidiana. Il confronto è emblematico: con 5,4 miliardi di euro, circa un terzo del costo del Ponte, sono in realizzazione 250 chilometri di nuove linee tranviarie in 11 città italiane, pari a 29 linee complessive.

Un render del Ponte sullo Stretto

Le reti ferroviarie urbane italiane restano infatti limitate: si costruiscono in media 2,85 km all’anno di metropolitane e 1,28 km di tranvie. L’estensione totale delle metropolitane è di 271,7 km, contro i 680 del Regno Unito, i 657 della Germania e i 620 della Spagna.

Le linee peggiori d’Italia nel report Legambiente

È in questo scenario che Pendolaria individua le linee peggiori d’Italia, in collaborazione con i comitati pendolari. In Campania, la ex Circumvesuviana mantiene il primato negativo: 13 milioni di passeggeri persi in dieci anni, convogli spesso senza climatizzazione, stazioni impresenziate e un orario ancora definito “provvisorio”. Sempre in Campania, sulla Salerno–Avellino–Benevento, la riapertura della stazione di Avellino è rinviata a giugno 2027.

Nel Lazio, la Roma Nord–Viterbo ha registrato 8.038 corse soppresse nei primi dieci mesi del 2025, il dato peggiore degli ultimi tre anni, mentre la Roma–Lido continua a essere segnata da guasti frequenti. Al Nord, la Milano–Mortara–Alessandria, utilizzata ogni giorno da circa 19mila viaggiatori, accumula ritardi cronici a causa del mancato raddoppio della linea. Criticità rilevanti emergono anche nel sistema ferroviario regionale e metropolitano del Piemonte, sulla Vicenza–Schio nel Nord-Est e sulle Ferrovie del Sud Est.

modifiche percorsi trenord treni lombardia gennaio 2025
La ex Circumvesuviana mantiene il primato negativo: 13 milioni di passeggeri persi in dieci anni

Tra le nuove segnalazioni del 2025 compare la Sassari–Alghero, con quattro coppie di treni soppresse e un servizio quotidiano giudicato ancora inadeguato. In Sicilia restano infine ferite storiche mai sanate: la Catania–Caltagirone–Gela, interrotta dal 2011, e la Palermo–Trapani via Milo, chiusa dal 2013, collegamenti fondamentali fermi da oltre un decennio.

Il fattore crisi climatica e l’allarme sociale

A rendere il sistema ancora più fragile interviene la crisi climatica. Dal 2010 al 2025 Legambiente ha censito 229 eventi meteo estremi che hanno causato interruzioni del servizio ferroviario, 26 solo nel 2025, tra allagamenti, frane, cedimenti dei rilevati e ondate di calore. Roma è la città più colpita, seguita da Milano e Napoli. Secondo le stime del Ministero, entro il 2050 i danni su infrastrutture e mobilità potrebbero raggiungere 5 miliardi di euro l’anno, fino allo 0,55% del PIL.

Il Rapporto lancia anche un allarme sociale: la carenza di trasporto pubblico alimenta la transport poverty, trasformando la mobilità da diritto a fattore di esclusione. In Italia la spesa per i trasporti pesa in media il 10,8% del budget familiare, ben oltre la soglia di vulnerabilità del 6% indicata dalla Commissione europea.

I segnali positivi

Non mancano tuttavia alcuni segnali positivi. L’età media dei treni regionali è scesa a 14,7 anni, nel 2024 i viaggiatori giornalieri sono saliti a 2 milioni e 538mila, e si sono concluse importanti opere come le elettrificazioni delle linee Isernia–Guardiaregia, Montebelluna–Feltre–Belluno, Treviso–Montebelluna, il raddoppio della Pistoia–Montecatini e il quadruplicamento della Genova Voltri–Sampierdarena. Tra le buone pratiche, il nuovo servizio Milano-Trento-Bolzano, il progetto “Ti porta Firenze”, che riduce fino all’80% il costo degli abbonamenti, e la riqualificazione climatica di via Riva di Reno a Bologna con il passaggio del tram.

Secondo Legambiente, però, senza un rifinanziamento strutturale del trasporto pubblico su ferro e urbano, il divario continuerà ad ampliarsi. La richiesta è chiara: riportare il Fondo Nazionale Trasporti ai livelli reali del 2009, investire su più treni e più corse, aumentare le frequenze nelle ore di punta e raddoppiare i viaggi giornalieri entro il 2035. In gioco non c’è solo l’efficienza del servizio, ma l’equità sociale, la qualità della vita e la capacità del Paese di offrire una mobilità davvero accessibile e sostenibile.