Papa Francesco "progressista"? Un pontificato di aperture simboliche (ma senza rivoluzioni)
Dagli omosessuali al ruolo delle donne nella Chiesa: gesti e prese di posizione forti. Manca, però, un metodo strutturato che diventi reale riforma

Fin dai primi momenti della sua elezione, il 13 marzo 2013, Jorge Mario Bergoglio ha suscitato l’idea di una rottura con il passato. Gesuita, proveniente dalla periferia del mondo – l’Argentina – e primo pontefice a scegliere il nome di Francesco, evocando il santo di Assisi e la sua povertà radicale, il nuovo Papa sembrava incarnare una promessa di rinnovamento profondo per la Chiesa cattolica.
A poche ore dalla sua morte, in parte, quella promessa si è compiuta. Per dodici anni, Papa Francesco ha saputo comunicare come pochi suoi predecessori. Ha infranto protocolli, rotto la rigidità dei riti, accorciato le distanze tra il trono di Pietro e la vita quotidiana delle persone. Questa capacità di dialogare con il mondo ha contribuito a costruire l’immagine di un Papa progressista, vicino agli ultimi e ai temi del nostro tempo.

Tuttavia, quell’immagine – per quanto potente – è spesso rimasta confinata nella sfera della comunicazione. Le parole, per molti, sono sembrate equivalere a gesti concreti. Ma a uno sguardo più attento, emerge un divario netto tra le aperture simboliche del pontefice e la mancanza di un metodo strutturato che le rendesse vere riforme.
La questione LGBTQIA+: parole che non diventano prassi
Nel luglio 2013, di ritorno dal Brasile, Francesco pronuncia una frase destinata a entrare nella storia: "Chi sono io per giudicare?" riferendosi alle persone gay che cercano Dio. Un’affermazione che, da sola, ha dato la sensazione di un'apertura radicale della Chiesa verso la comunità LGBTQIA+. Ma quell’impressione non ha trovato riscontro in cambiamenti dottrinali o pratici.

Anzi, il percorso è stato a tratti contraddittorio. A dicembre 2023, la dichiarazione Fiducia supplicans ha fatto notizia per l’apertura alle benedizioni delle coppie “in situazioni irregolari” e di quelle omosessuali. Ma la portata di quella novità è stata presto ridimensionata: la benedizione non equivale a un riconoscimento e, soprattutto, non mette minimamente in discussione l’insegnamento ufficiale della Chiesa, che continua a definire le relazioni omosessuali “intrinsecamente disordinate”.
Pochi mesi dopo, un’espressione pronunciata durante l’assemblea dei vescovi italiani (“c’è già troppa frociaggine nei seminari”) ha sollevato un’ondata di critiche, mostrando quanto l’iniziale apertura potesse essere spazzata via da parole infelici. E non va dimenticato che nel 2010, da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio si oppose pubblicamente alle unioni civili in Argentina.
Diritti e bioetica: una linea più tradizionale
Sul piano della bioetica, Francesco non si è discostato dalla linea più rigorosa del magistero cattolico. Ha condannato l’eutanasia come “un crimine” e, nel 2024, l’ha definita un “fallimento dell’amore”. Anche sull’aborto, il pontefice ha espresso parole durissime, paragonando i medici che lo praticano a “sicari”.
Dichiarazioni che hanno suscitato reazioni forti, come quella del presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, che ha difeso il diritto dei medici a operare nel rispetto della legge e della dignità delle donne.

Eppure, paradossalmente, Francesco ha anche dimostrato stima e amicizia personale verso figure come Emma Bonino, storica sostenitrice del diritto all’aborto, segno della sua complessa visione dei rapporti personali e pubblici.
Il ruolo delle donne: più visibilità, ma ancora confini
Uno dei fronti in cui Francesco ha operato cambiamenti visibili è stato quello del ruolo delle donne nelle istituzioni vaticane. Mai prima d’ora tante donne avevano ricoperto incarichi di vertice: da Barbara Jatta, prima direttrice dei Musei Vaticani, a suor Raffaella Petrini, Segretaria del Governatorato della Città del Vaticano, fino a suor Simona Brambilla, prima Prefetto donna della Santa Sede.

Una visione che, pur riconoscendo il valore delle donne nella vita ecclesiale, ne limita ancora fortemente l’accesso alla sfera liturgica e sacramentale. Segno che il rinnovamento di Francesco si è arrestato prima di intaccare le fondamenta più profonde della tradizione cattolica.
Una rivoluzione incompiuta
Oggi, con la fine del suo pontificato, la Chiesa cattolica si trova davanti a un bivio. Papa Francesco ha spalancato porte, rotto silenzi, sollevato domande prima inascoltate. Ha costruito un'immagine nuova della Chiesa, più dialogante, più vicina ai problemi del mondo. Ma nella maggior parte dei casi, non ha dato a queste aperture una struttura duratura, un metodo di riforma chiaro, o un impianto dottrinale aggiornato.
Il suo è stato un pontificato di gesti forti, simboli eloquenti, ma riforme parziali. Le sue scelte hanno cambiato il volto della Chiesa, ma non sempre il suo corpo. Ora tocca al futuro decidere se quei sentieri appena tracciati diventeranno strade percorribili o resteranno semplici suggestioni.