Oligarchia?

Multinazionali fra luci e ombre: Amazon dice basta allo smartworking, Google schiva maxi multa Ue

Due vicende emblematiche...

Multinazionali fra luci e ombre: Amazon dice basta allo smartworking, Google schiva maxi multa Ue
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Mentre Google si salva in extremis, schivando una multa monstre, Amazon riporta indietro le lancette di 5 anni sancendo lo stop allo smart working per i suoi dipendenti.

Amazon torna al lavoro in presenza: addio smart working

Tornare indietro di cinque anni per garantire un futuro solido. Questa è la mossa decisa da Amazon, il colosso dell'e-commerce, tramite il suo CEO Andy Jassy annuncia la fine del lavoro da remoto: "Dal 2025, un milione e mezzo di dipendenti torneranno a lavorare in ufficio cinque giorni a settimana".

Un ritorno alle abitudini pre-Covid, o quasi.

"Prima della pandemia - chiarisce Jassy - non tutti erano in sede per l'intera settimana". Tuttavia, Jassy puntualizza che "queste eccezioni non scompariranno del tutto", ma la possibilità di fare smart working due giorni a settimana, come avviene ora, sarà eliminata. Entro fine anno saranno definiti gli ultimi dettagli, con l’obiettivo di iniziare a gennaio con la presenza in ufficio.

La scelta è soprattutto legata all’esigenza di "rafforzare ulteriormente la nostra cultura aziendale, che è alla base del nostro successo".

E poi ci sono i risultati finanziari:

"L'anno prima che entrassi in azienda - afferma Jassy - avevamo ricavi di 15 milioni di dollari; quest'anno supereremo i 600 miliardi". Inoltre, il lavoro in presenza sembra avere benefici evidenti: "Abbiamo notato che i nostri dipendenti apprendono meglio insieme. L'insegnamento reciproco diventa più semplice". Gli ultimi 15 mesi, con tre giorni di presenza settimanale, hanno confermato questi vantaggi.

Ma i dipendenti che cosa dicono? Pare non la vedano così rosea: si sono infatti precipitati sulla rete e sui canali interni dell'azienda per comunicare il loro malcontento.

Google schiva una multa monstre

Solo una settimana fa, Google era stata condannata a versare una somma di 2,4 miliardi di euro. Questa volta, però, il Tribunale dell'Unione Europea è stato più indulgente: ha annullato la multa da 1,5 miliardi di euro che la Commissione Europea aveva imposto al colosso di Mountain View per il caso legato ad AdSense, il suo servizio di pubblicità online.

Pur confermando gran parte delle conclusioni della Commissione, i giudici europei hanno annullato la decisione che imponeva a Google una sanzione così pesante, rilevando che l'organo esecutivo dell'UE non aveva considerato adeguatamente tutte le circostanze rilevanti nella valutazione della durata delle clausole contrattuali, ritenute abusive.

Dal 2003, Google gestisce AdSense, una piattaforma pubblicitaria, e ha creato il servizio "AdSense for Search", che permette agli editori di siti web di ospitare annunci a pagamento. Tuttavia, secondo la Commissione Europea, i contratti con AdSense imponevano limitazioni alla visualizzazione di annunci di servizi concorrenti. Diverse aziende, tra cui Microsoft, Expedia e Deutsche Telekom, avevano segnalato tali pratiche alle autorità antitrust, portando infine la questione all'attenzione della Commissione.

Nel settembre 2016, Google ha modificato o rimosso queste clausole, ma ciò non è stato considerato sufficiente dalle autorità di Bruxelles, che nel 2019 hanno imposto una multa da 1,5 miliardi di euro. Il caso è arrivato quindi davanti alla giustizia europea, e mercoledì scorso il Tribunale dell'Ue ha parzialmente accolto il ricorso di Google, cancellando la sanzione. I giudici di Lussemburgo hanno stabilito che le prove fornite dalla Commissione non erano sufficienti a dimostrare una violazione delle regole europee sulla concorrenza.

Solo pochi giorni prima, il 10 settembre, la Corte di giustizia europea aveva invece confermato una multa da 2,4 miliardi di euro inflitta a Google per abuso di posizione dominante, accusandola di favorire il proprio servizio di comparazione di prodotti a scapito dei concorrenti nel mercato delle ricerche online.

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