Italia sì, Italia no, cantava Elio e le Storie tese in uno dei più fortunati e orecchiabili tormentoni della nostra canzone.
E Italia sì, Italia no viene da dirlo ora, in questi giorni, in chiave sportiva.
Perché mentre in Spagna la Liga decide di non far più giocare negli Stati Uniti la partita tra Barcellona e Villarreal (anche dopo le vivaci proteste non solo dei giocatori delle squadre direttamente interessate, ma anche di quelli degli altri club), in Italia si continua a discutere della decisione che Milan–Como, derby lombardo atteso da anni, venga disputato in Australia, a Perth (invece che a San Siro, “impegnato” in quei giorni per la cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici invernali di Milano Cortina).
Due Paesi, due scelte, due visioni del rapporto tra sport, identità e mercato
In Spagna, alla fine, dopo tanto dibattere e proteste anche clamorose (l’avvio in ritardo di alcune partite di campionato) hanno prevalso il senso del limite e la consapevolezza che il calcio è parte del patrimonio culturale nazionale.
In Italia, invece, nonostante le perplessità di giocatori e allenatori (Rabiot e Maignan per il Milan, Fabregas per il Como) e i musi lunghi dei tifosi si continua a inseguire l’illusione che esportare una partita a 15 mila chilometri di distanza possa rafforzare il brand della Serie A.

Il dietrofront spagnolo, Codici lancia un altro appello: “Restate in Italia per Milan-Como”
Ecco allora l’associazione dei consumatori Codici ha lanciato un nuovo appello perché la sfida resti in Italia senza penalizzare i tifosi, quelli abbonati a un posto a San Siro, ma in fondo anche a quelli delle Pay Tv dal momento che con una partita in Australia e senza ancora un orario definito, molti interrogativi riguardano anche il fuso orario e la programmazione in Italia.
Senza contare che il punto, al di là dell’aspetto economico e organizzativo, è anche simbolico.
Come spiega Davide Zanon, presidente di Codici Lombardia:

“Il calcio professionistico non può essere snaturato per esigenze commerciali che, tra l’altro, penalizzano i tifosi. Se la Spagna ha detto no alle partite oltre oceano, anche l’Italia deve dimostrare rispetto per i propri appassionati e per la propria identità sportiva”.
Calcio e tennis, quando in gioco c’è l’italianità
Come detto, l’appello lanciato dall’associazione consumatori a seguire l’esempio del dietrofront spagnolo lascia spazio a riflessioni a più ampio respiro.
Dietro a questa posizione c’è infatti qualcosa che va oltre il pallone: una riflessione sull’italianità, sul valore collettivo di ciò che rappresenta lo sport nel nostro immaginario.
È la stessa sensibilità che, in questi giorni, torna al centro del dibattito pubblico anche con la vicenda di Jannik Sinner che ha scelto di non partecipare alla Coppa Davis.

Due storie diversissime, certo, ma accomunate da una domanda di fondo: quanto contano ancora, per noi, il senso di appartenenza, la bandiera, il legame con la comunità che ci guarda e ci sostiene?
Sinner e Milan-Como, due storie diverse ma… uguali
Nel caso di Sinner, c’è chi difende la libertà individuale di decidere i propri tempi, e chi lo accusa di scarso spirito di squadra.
Nel caso di Milan–Como, la tensione è tra mercato globale e radici locali, tra business e passione popolare.

In entrambi i casi, però, l’Italia si ritrova divisa tra chi pensa che lo sport debba rimanere un luogo di identità condivisa e chi lo considera ormai solo un prodotto da vendere.
Il paradosso: mentre il mondo guarda all’Italia, l’Italia “fugge” in Australia
E c’è un’ulteriore ironia del destino: proprio nei giorni in cui il mondo guarderà a Milano e all’Italia per le Olimpiadi invernali, il calcio, per di più con due squadre lombarde, una addirittura di Milano, sente il desiderio di “fuggire” altrove, rinunciando a una vetrina che potrebbe esaltare il Paese e le sue eccellenze.
Un paradosso che somiglia a un piccolo cortocircuito culturale: mentre ci prepariamo a mostrare il meglio dell’Italia, una delle sue passioni più radicate si prepara a emigrare per contratto.
Che Paese siamo? La risposta che ci arriva dallo sport
La domanda che sorge spontanea per dirla alla Lubrano (che tra l’altro, altra ironia nella sua trasmissione guardava proprio alla tutela dei consumatori) allora diventa questa: siamo un Paese che crede ancora nel valore simbolico dello sport, o uno che lo svende al miglior offerente?
Perché, come hanno osservato Zanon e Codici nel loro appello, “il calcio non è un accessorio del business, ma la sua anima”.
E forse questa riflessione vale non solo per Milan–Como, ma per tutto un modo di intendere o di smarrire l’italianità nello sport.