dove riposano centinaia di vittime

La nuova frontiera del turismo cafone è la grigliata "vista Vajont": il dolore dei superstiti

I residenti colgono l'occasione per denunciare il macabro turismo dell'orrore, molto diffuso nei pressi del luogo della strage

La nuova frontiera del turismo cafone è la grigliata "vista Vajont": il dolore dei superstiti
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Rabbia per una ferita che non ha mia smesso di bruciare. La foto di una grigliata "vista Vajont" ha suscitato un comprensibile moto di indignazione dei cittadini. Uno scatto che ritrae la classica abbuffata d'agosto, sullo sfondo si scorge chiaramente la diga del Vajont.

Una mancanza di rispetto per la strage che, il 9 ottobre 1963, si portò via con il suo fiume di acqua e terra 1.917 anime.

Senza contare i traumi di chi restò e sopravvisse alla boato delle montagna, che divorò interi paesini. Fra i più noti testimoni della tragedia lo scrittore Mauro Corona, ai tempi bambino, trasferitosi a Erto, provincia di Pordenone, con la famiglia.

Grigliata "vista Vajont": la cafonata che indigna cittadini e sopravvissuti

Cittadini, parenti delle vittime e sopravvissuti indignati per lo scatto della grigliata con vista sul Vajont. I residenti colgono l'occasione per denunciare il macabro turismo dell'orrore, molto diffuso nei pressi del luogo della strage.

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Atteggiamenti del tutto privi di rispetto per chi in quella tragedia ha perso la vita o un amato familiare. Sotto quel monte franato, infatti, riposano centinaia di corpi.

Superstiti e macerie, Vajont

Il turismo della memoria non è una novità, ma banchettare su quello che è - a tutti gli effetti - un enorme cimitero, è un altro paio di maniche.

La tragedia

Il 9 ottobre 1963, alle 22.39, una massa franosa di 260 milioni di metri cubi si staccò dalla parete del monte Toc e precipitò nel lago artificiale. Un’immensa ondata si proiettò sul versante opposto centrando gli abitati di Erto e Casso.

L’ondata si divise in due: la prima parte risalì la valle, sommerse i paesi di Pineda, San Martino e Le Spesse e raggiunse il passo di Sant’Osvaldo. La seconda parte delle acque, invece, oltrepassò la diga del Vajont, riversandosi lungo la gola, su Longarone. In pochi minuti quella massa di acqua e detriti spazzò via case, scuole, paesini e soprattutto 1.910 vite, fra loro più di 400 bambini.

Una strage annunciata

A rendere ancora più doloroso il drammatico evento è stato il fatto che si sia trattato di una strage annunciata. Non fu una fatalità, come successivamente appurato dall'inchiesta dal ministero dei Lavori pubblici.

Diga Vajont

La diga del Vajont, costruita per sfruttare al massimo la forza delle acque del bacino del Piave, era allora la più alta del mondo e il canyon scavato dal torrente Vajont nel suo cammino verso il Piave era uno dei più profondi. Il lago artificiale avrebbe avuto una capacità straordinaria di contenimento dell'acqua e avrebbe prodotto molta energia elettrica.

La valle non era però adatta allo scopo dal punto di vista geologico, come rivelarono alcune perizie tecniche, per esempio quelle del tecnico austriaco Leopold Müller. I rischi prospettati dal geologo furono confermati da una prima frana, tre anni prima del disastro.

Il 29 novembre 1968 furono portati a processo 11 imputati, considerati a vario titolo responsabili della strage.

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