Bruxelles ha rimesso mano a uno dei pilastri più controversi del Green Deal. Nel pomeriggio di ieri, martedì 16 dicembre 2025, la Commissione europea ha presentato l’atteso pacchetto di sostegno per il settore automobilistico, ufficializzando la retromarcia sullo stop alla vendita di nuove auto a benzina e diesel previsto per il 2035.
Non un semplice rinvio, ma un cambio di filosofia: meno divieti rigidi, più neutralità tecnologica.
Ue, auto a motore termico anche dopo il 2035
I contenuti del pacchetto sono stati illustrati nel pomeriggio a Strasburgo in una conferenza stampa iniziato in ritardo per via delle discussioni tra il vicepresidente della Commissione responsabile per l’Industria Stéphane Séjourné, il commissario al Clima Wopke Hoekstra, quello ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas e il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis.
Il cuore della svolta è la revisione del regolamento sulle emissioni di CO₂. L’obiettivo originario di riduzione del 100% al 2035 – che rendeva praticabile solo l’auto elettrica – è stato abbandonato in favore di un target del 90%. Una soglia che lascia uno spiraglio concreto alla sopravvivenza dei motori termici anche oltre quella data, purché affiancati da soluzioni in grado di compensare le emissioni residue lungo l’intera filiera.
Sarà quindi tollerata una quota del 10% di emissioni residue che le case automobilistiche dovranno compensare accumulando crediti verdi, ottenuti anche attraverso strategie mirate come l’utilizzo di acciaio a basso contenuto di carbonio e l’adozione di carburanti sostenibili.
Le alternative all’elettrico
Nel nuovo quadro trovano spazio diverse tecnologie considerate fino a poco tempo fa marginali:
- Ibrido plug-in (PHEV): Un’auto ibrida plug-in combina un motore termico (benzina o diesel) con uno elettrico alimentato da una batteria più grande rispetto a quella degli ibridi tradizionali. La batteria può essere ricaricata collegandola a una presa domestica o a una colonnina pubblica. Questo consente di percorrere mediamente tra i 40 e gli 80 chilometri in modalità 100% elettrica, ideale per l’uso urbano, passando poi al motore a combustione per i viaggi più lunghi. È una soluzione “ponte” che unisce flessibilità e riduzione delle emissioni.
- Carburanti sintetici (e-fuel): Gli e-fuel sono carburanti prodotti in laboratorio combinando carbonio e idrogeno. Se il carbonio viene catturato dall’atmosfera e l’idrogeno è ottenuto dall’acqua usando energia rinnovabile, il bilancio complessivo di CO₂ può essere considerato neutro. In questo modo, i carburanti sintetici possono alimentare anche motori tradizionali senza aumentare le emissioni nette, offrendo una prospettiva interessante soprattutto per i veicoli già in circolazione.
- Biocarburanti non alimentari: Derivati da biomasse di seconda e terza generazione come scarti agricoli, rifiuti organici, oli esausti, colture energetiche non destinate al cibo e alghe, i biocarburanti non vegetali rappresentano un’altra alternativa ai combustibili fossili. Utilizzabili in tutto o in parte nei motori convenzionali, riducono le emissioni lungo l’intera filiera e contribuiscono a diversificare le fonti energetiche. Il loro valore sta anche nel contributo al cosiddetto trilemma energetico: sostenibilità ambientale, sicurezza degli approvvigionamenti e accessibilità economica.
Il commento di Ursula von der Leyen
La presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen, ha difeso la scelta sottolineando.
“L’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita”, ha dichiarato, cercando di rassicurare sul fatto che l’allentamento delle regole non rappresenta un arretramento sugli obiettivi climatici.

Le reazioni del settore sono state però contrastanti. L’ACEA, l’associazione dei costruttori europei, ha accolto positivamente il nuovo impianto, definendolo un passo verso un percorso più pragmatico e flessibile.
Di segno opposto la posizione dei produttori di sole auto elettriche: Polestar, controllata dal gruppo cinese Geely, ha espresso forte disappunto con l’amministratore delegato Michael Lohscheller che ha avvertito come il passo indietro rischi di danneggiare sia il clima sia la competitività dell’Europa.
Tre anni in più per adeguarsi
Oltre alla soglia del 90%, Bruxelles introduce ulteriori flessibilità. I costruttori avranno tre anni in più, dal 2030 al 2032, per adeguarsi ai nuovi limiti di emissione, mentre l’obiettivo di riduzione per i furgoni al 2030 viene abbassato dal 50% al 40%.
Sul fronte degli incentivi, nasce una nuova categoria nell’ambito dell’iniziativa “small affordable cars”: veicoli elettrici fino a 4,2 metri che beneficeranno di vincoli normativi congelati per dieci anni e – se prodotti nell’UE — potranno valere come supercrediti per il rispetto dei target di flotta.
A questo si affianca un pacchetto da 1,8 miliardi di euro per la filiera europea delle batterie, di cui 1,5 miliardi sotto forma di prestiti senza interessi già dal prossimo anno.
I timori causati dall’allentamento
Un capitolo centrale riguarda le flotte aziendali che rappresentano circa il 60% delle vendite di auto nuove in Europa. La Commissione propone obiettivi nazionali obbligatori per il 2030 e il 2035: per l’Italia, ad esempio, una quota minima del 45% di veicoli aziendali a emissioni zero dal 2030 e dell’80% dal 2035.
Agli Stati membri viene lasciata libertà sulle modalità di attuazione. Resta infine il nodo del mercato a due velocità. La diffusione delle auto elettriche è infatti fortemente concentrata nel Nord e nell’Ovest del continente: mentre la Norvegia ha raggiunto il 94% delle vendite totali nei primi sette mesi del 2025, Paesi come la Croazia sono fermi all’1%.
Nell’UE, le quote oscillano tra il 5% dell’Italia e circa il 10% medio. In questo contesto, l’allentamento degli obiettivi solleva timori su un possibile rallentamento degli investimenti nelle infrastrutture di ricarica, già oggi insufficienti.
L’ammorbidimento delle regole
A tutto questo si aggiunge una proposta che guarda al futuro urbano: la creazione di una nuova categoria di mini elettriche compatte made in Europe che potranno beneficiare di norme meno rigide e di sovvenzioni più generose nel tentativo di rendere l’elettrico più accessibile e di rafforzare la produzione continentale.
La linea che si va delineando è il frutto di un difficile compromesso tra Stati membri. Germania e Italia, sostenute da diversi Paesi dell’Est, hanno spinto per eliminare lo stop definitivo ai motori termici, ritenuto troppo rigido e penalizzante per l’industria.
Sul fronte opposto, Francia, Spagna e Paesi nordici hanno difeso l’impianto originario del Green Deal, temendo che un ammorbidimento delle regole finisca per frenare gli investimenti già avviati sull’elettrico e sulla filiera delle batterie.
La soluzione trovata non fissa una nuova data per il 100% zero emissioni, ma cambia strutturalmente l’approccio: l’Unione non dirà più quale tecnologia usare, ma chiederà ai costruttori di raggiungere determinati risultati ambientali, lasciando loro la libertà di scegliere come.