utilizzato per il green pass

Gli scienziati non cambiano idea: il tampone rapido non basta. E ci mette a rischio

Ore contate per i tamponi antigenici utilizzati al fine di ottenere il certificato verde? L'Esecutivo valuta, ma gli esperti non hanno dubbi.

Gli scienziati non cambiano idea: il tampone rapido non basta. E ci mette a rischio
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A riportare in primo piano l'affidabilità dei tamponi rapidi - detti anche antigenici - è l’ipotesi dell’arrivo di nuove regole per ottenere il Green pass. Questi tamponi, da mesi, sono oggetto di grandi perplessità degli esperti in merito alla loro reale capacità di individuare i positivi al Covid-19. Approfondiamo il loro funzionamento e vediamo cosa dicono gli scienziati.

Tamponi rapidi: funzionano sì o no?

I tamponi molecolari vengono ritenuti più attendibili rispetto al test antigenico che si basa sulla ricerca di un antigene (proteina) del virus. Il molecolare ha come bersaglio l'RNA del virus e permette di amplificarne la presenza a partire da una singola molecola di RNA: significa che da una molecola se ne ottengono milioni. Invece il test antigenico rivela solo le proteine del virus presenti nel campione e per questo è meno sensibile.

Ciò significa che l'allarme suona in presenza di cariche virali alte, ma in caso di una bassa carica - effettivamente - il rischio che sfugga è sensibile. Parliamo dunque di uno screening più ad ampio spettro, incapace però di fare una ricerca "di fino". Soprattutto quelli acquistabili nei supermercati e in farmacia che hanno un livello basso di sensibilità e diagnosticano l'infezione solo se la carica virale è molto alta.

Possono dare false sicurezze

A fronte della loro natura gli antigenici possono, paradossalmente, avere conseguenze negative sul piano del controllo del virus fornendo una finta certezza di negatività. Soprattutto se vengono utilizzati per ammettere le persone in un ambiente lavorativo mediante il Green pass.

Il parere degli esperti

Sulla potenziale pericolosità di affidarsi ai tamponi rapidi per il Green pass si sono espressi molti scienziati di primo piano del Paese.

Sull'argomento è tornato di recente il consigliere del ministro della Salute Walter Ricciardi che ha sottolineato come "con il passare del tempo si dovrà pensare alla correzione del Green pass”:

"Il certificato verde si ha anche con tampone antigenico ma questo presenta un 30% di falso negativo e dà falso senso di sicurezza specie con la variante Delta, se si entra con un test, falso negativo, in luogo dove ci sono persone suscettibili, l'infezione si verifica".

Perplessità anche per Donato Greco, epidemiologo e componente del Comitato tecnico-scientifico:

"Fra i tamponi, non sono paragonabili i molecolari, molto più affidabili perché esaminano un frammento dell’acido nucleico, e gli antigenici che rilevano una parte della proteina spike".

Bocciatura anche dal direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell'Università di Padova Andrea Crisanti. Critico anche il virologo Francesco Broccolo, dell'Università di Milano-Bicocca che ha sottolineato come i test basati sui tamponi antigenici rapidi non fossero affidabili ai fini del Green pass:

"Perché sono test poco sensibili, di conseguenza sfuggono le infezioni e in più non permettono di identificare l'insorgere di possibili nuove varianti che necessitano del sequenziamento effettuato sul genoma virale dei tamponi molecolari risultati positivi. Il soggetto che si sottopone a tampone si sente autorizzato a esporsi a quell'evento per il quale ha ottenuto un Green pass temporaneo senza di fatto avere alcuna protezione".

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