POLEMICA

Giornalista allontanata dalla Global Sumud Flotilla perché “pericolosa”

Previste 18 barche con a bordo 150 persone, tra cui due parlamentari e tre europarlamentari per portare aiuti umanitari a Gaza e richiamare l’attenzione del mondo sul blocco nella Striscia

Giornalista allontanata dalla Global Sumud Flotilla perché “pericolosa”

Da una parte un’iniziativa umanitaria “spontanea” a rischio continuo di incidenti diplomatici, dall’altra una sorta di avversione quasi paranoica nei confronti dei giornalisti.

In un caso e nell’altro la vicenda della Global Sumud Flotilla sta facendo discutere e non poco.

Ma prima di addentrarci nelle polemiche di queste ultime ore riavvolgiamo il nastro e ripercorriamo le tappe che hanno portato a dare il La a questa “missione” da molti pontificata e da altri bollata come bizzarra e inutile.

La Global Sumud Flotilla, una premessa necessaria

La Global Sumud Flotilla è una missione civile e internazionale che prende ispirazione dalle precedenti Freedom Flotilla.

Le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla

Il suo scopo è duplice: da un lato portare aiuti umanitari a Gaza, dall’altro richiamare l’attenzione del mondo sul blocco che da anni isola la Striscia.

Il nome “Sumud”, che in arabo significa resilienza e resistenza non violenta, vuole sottolineare la natura pacifica e simbolica dell’iniziativa.

A bordo delle imbarcazioni trovano posto attivisti provenienti da diversi paesi, rappresentanti di associazioni, organizzazioni religiose, operatori umanitari, parlamentari o osservatori indipendenti.

Prima della partenza, tutti i partecipanti seguono un training obbligatorio, che comprende regole di comportamento, tecniche di convivenza e indicazioni su come affrontare eventuali situazioni di tensione in mare.

Vale la pena ricordare che le flottiglie, per loro natura, non sono prive di rischi. In passato diverse spedizioni dirette a Gaza sono state fermate o intercettate dalle autorità israeliane, in alcuni casi con esiti drammatici.

Le imbarcazioni e chi partecipa alla missione

Tre imbarcazioni a vela della Flotilla hanno lasciato Siracusa per la rada di Augusta, dove ad attenderle c’erano altre 15 navi con cui viaggeranno verso Gaza.

In totale in partenza da Augusta sono state previste 18 barche con a bordo 150 persone, tra cui due parlamentari e tre europarlamentari italiani, che si riuniranno in mare con le sei imbarcazioni provenienti dalla Grecia, con sessanta persone a bordo, e le dieci barche provenienti dalla Tunisia, per un totale di circa 600 persone.

Benedetta Scuderi, eurodeputata dei Verdi

La delegazione italiana vede la presenza delle due eurodeputate Benedetta Scuderi (Verdi) e la dem Annalisa Corrado – e i due parlamentari nazionali Marco Croatti (M5S) e Arturo Scotto (Pd), oltre al consigliere regione del Pd Paolo Romano.

La “paranoia” verso i giornalisti: l’episodio che divide

Ecco allora che dentro questo contesto si inserisce il caso che, come accennato all’inizio, ha acceso in queste ore la polemica.

La giornalista de La Stampa Francesca Del Vecchio era stata inizialmente invitata a seguire la missione: un’occasione per raccontare dall’interno il percorso della Flotilla, con una rubrica quotidiana.

Francesca Del Vecchio, giornalista de La Stampa

Arrivata a Catania, dove si teneva la fase di addestramento, la cronista ha documentato l’atmosfera e le regole imposte: consegna dei telefoni, controlli di sicurezza, divieto di scendere nei dettagli. Ha rispettato le consegne, cercando di attenersi a ciò che era consentito.

Nonostante ciò, i rapporti con alcuni membri del direttivo si sono rapidamente incrinati.

Del Vecchio è stata accusata di aver diffuso “informazioni sensibili” e, dopo una serie di confronti sempre più accesi, rimossa dalle chat, privata del passaporto e infine accompagnata fuori dal porto.

La motivazione ufficiale: sarebbe una “giornalista pericolosa”.

Il “caso diplomatico” ancor prima della partenza: due visioni contrapposte

Un caso diploma che presenta di fatto due versioni contrapposte, amplificando ancor di più la polemica.

Secondo gli organizzatori, la presenza della giornalista avrebbe potuto compromettere la sicurezza dell’intera missione, attirando attenzioni indesiderate.

Secondo Del Vecchio, invece, la vera ragione del suo allontanamento è un’altra: il suo racconto non era “allineato” all’immagine che la Flotilla voleva dare di sé.

La stessa giornalista in queste ore ha commentato:

“Per me è una sconfitta, non solo personale. È sempre stonato quando un giornalista diventa parte della storia, anziché narratore di esperienze altrui. Ma credo che la vicenda meriti di essere conosciuta per quanto ci dice sul ruolo del giornalismo e dei suoi compiti, sulla percezione della professione. Anche da parte di chi si definisce libertario”.

Difficile al momento capire e sapere in che punto dei due racconti converge la verità. Forse, come spesso accade e come recita un vecchio adagio, nel mezzo.

Una contraddizione difficile da ignorare: dare voce alla missione, ma senza occhi esterni

Fatto sta che la vicenda mette in luce un paradosso. Una missione che si presenta come simbolo di trasparenza, non violenza, legittimità morale, e che vorrebbe luci e voci sull’iniziativa, nel momento in cui incontra lo sguardo e il taccuino di un cronista, per di più una donna, reagisce con diffidenza e chiusura.

Definire “pericolosa” una giornalista significa trasformare un testimone potenzialmente utile, nell’opportunità di una cassa di risonanza non indifferente, in un nemico da espellere.

È una scelta che detto sinceramente, ed è opinione di molti, anche vicini agli organizzatori, non solo indebolisce la credibilità della Flotilla, ma rischia di oscurarne le stesse finalità umanitarie.