C'era una volta il Progetto Seti… adesso a cercare gli alieni ci pensa l'intelligenza artificiale
Dal progetto di calcolo distribuito di 25 anni fa alla ricerca attuale con le nuove tecnologie

All'inizio del nuovo millennio, un progetto di calcolo distribuito ha coinvolto migliaia di volontari nella ricerca di vita extraterrestre, una missione che oggi rinasce grazie alle nuove potenzialità offerte dall'intelligenza artificiale.
Il passato: il Progetto Seti@Home
Nei primi anni Duemila, in tanti ci siamo appassionati a una forma di solidarietà diffusa rivoluzionaria quanto particolare: si chiamava Seti@Home e il suo scopo era quello di… trovare gli extraterrestri.
Detta così sembra una stupidaggine, invece era una sorta di catena, simile a quelle che si fanno per beneficienza, ma al servizio della scienza e della tecnologia. Insomma avete presente quando una determinata azione legata a uno specifico scopo viene virtuosamente svolta un po' ciascuno da tante persone, rendendo raggiungibile un traguardo altrimenti impossibile?
Ecco, chi scrive e migliaia di altri volenterosi in tutto il mondo semplicemente dotati di un computer e una connessione a Internet a quell'epoca hanno scaricato un programmino che elaborava dati mentre il pc era inutilizzato: di fatto, uno screensaver che scattava in pausa.

Il progetto di calcolo distribuito volontario Seti@Home (Search for Extra-Terrestrial Intelligence) è stato lanciato nel 1999 dall'Università di Berkeley in California.
L'idea (geniale) era che per elaborare i segnali registrati dal radiotelescopio di Arecibo (a Porto Rico) alla ricerca di tracce di intelligenza extraterrestre, non sarebbe potuto mai bastare un unico, anche enorme cervellone elettronico: ma spacchettando quella immane mole di dati in tanti pezzettini e sfruttando le capacità di calcolo di una miriade di computer casalinghi sparsi su tutto il pianeta, l'impresa diventava teoricamente possibile.

Alla fine, comunque, malgrado gli sforzi, tracce aliene portate sulla terra dallo spazio tramite onde elettromagnetiche non se ne sono trovate, a differenza di quanto invece accaduto nella fiction: bellissimo il film "Contact" con Jodie Foster e Matthew McConaughey del 1997 (in copertina la locandina), girato fra l'altro proprio ad Arecibo, che contribuì a spingere orde di astrofili romantici a scaricarsi il fatidico screensaver.
(per chi vuole approfondire il Progetto Seti@Home è benissimo spiegato qui)
Il presente: l'intelligenza artificiale
Adesso la ricerca di segnali di intelligenza extraterrestre sta tuttavia ricominciando, proprio grazie all'ultima invenzione targata homo sapiens: l'intelligenza artificiale.
L'idea l'ha lanciata l'Università probabilmente più prestigiosa al mondo, Harvard, che col Progetto Galileo ha pensato di usare l’intelligenza artificiale proprio per trovare gli ufo.
Detto fra noi, in effetti, se le versatili potenzialità della IA per esempio sono in grado sulla carta di superare in campo medico le diagnosi anche del più bravo "Dottor House" umano possibile, perché anche in campo astrofisico non potrebbe accadere qualche "miracolo"?
La realtà è un po' più prosaica, anche perché il progetto lanciato dall’astrofisico Avi Loeb indaga semplicemente fenomeni aerei non identificati, attraverso algoritmi di visione artificiale e di tracciamento delle traiettorie che indagano più i nostri cieli che lo spazio…
In sostanza, quando (e se) la IA vede qualcosa di diverso da un oggetto o fenomeno conosciuto, drizza le antenne e strabuzza gli occhi. Poi però (tranquilli) dovrà comunque intervenire l'uomo… perché la IA vede l'anomalia, ma mica sa spiegare in che consiste.
Un parallelismo col vecchio Progetto Seti è che l'analisi di Harvard verrà fatta da un supercomputer, chiamato "Cannon Cluster", formato da migliaia di server collegati tra loro, un po' come nella primigenia idea di un quarto di secolo fa (che però aveva uno spirito di volontariato e si appoggiava alla gente comune).
Ma un'altra analogia è che anche qui tutto parte da un osservatorio astronomico (il principale a Boston, ma se ne dovrebbero aggiungere altri) e da una raccolta di dati "grezzi", segnali elettromagnetici di vario tipo poi da "decodificare", ora da una IA ben più evoluta rispetto ai computer di inizio millennio.
daniele.pirola@netweek.it