Accordo raggiunto

Centri migranti in Albania: nuovo regolamento Ue sui rimpatri riaccende le speranze del Governo

Intanto il Consiglio europeo ha dato vita all'ennesima lista di Paesi considerati "sicuri"

Centri migranti in Albania: nuovo regolamento Ue sui rimpatri riaccende le speranze del Governo

L’Albania torna al centro del dibattito sull’immigrazione. Con l’accordo raggiunto a Bruxelles dai ministri dell’Interno dell’Unione Europea, il progetto italiano dei centri di Shëngjin e Gjadër riceve una cornice politica e giuridica.

Dopo due anni di stop, ricorsi e ripensamenti, sarebbe la prima buona notizia per il Governo in merito ai centri.

Migranti, i sette Paesi sicuri per l’Ue

Nella giornata di lunedì 8 dicembre 2025, il Consiglio Ue ha infatti dato il via libera alla lista comune di Paesi di origine sicuri e a un nuovo regolamento sui rimpatri che apre esplicitamente alla possibilità di creare hubs in Stati extra-Ue, proprio come quello pensato dal Governo Meloni in territorio albanese.

La svolta arriva attraverso un voto tecnico che ridisegna l’approccio dell’Unione alla gestione degli arrivi irregolari. Bruxelles ha definito una lista di sette Paesi di origine considerati sicuri – Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Kosovo, Marocco e Tunisia – includendo inoltre in blocco tutti i Paesi candidati all’adesione tra cui Albania, Serbia, Turchia, Ucraina e Macedonia del Nord.

Per i cittadini che provengono da questi Stati, le procedure di asilo saranno quasi sempre accelerate e condotte direttamente alla frontiera. I Paesi da cui arrivano sono considerati sicuri e questo rende più difficile vedersi riconosciuta una forma di protezione.

Il nuovo regolamento sui rimpatri

Accanto a questa novità, il Consiglio ha ridefinito il concetto di Paese terzo sicuro. Le nuove regole consentono ai governi europei di dichiarare inammissibile una domanda d’asilo se il richiedente ha un legame con un Paese considerato sicuro, se vi ha transitato o se esiste un accordo specifico con quel Paese per la gestione delle richieste.

Il filmato con il commento del ministro Piantedosi:

È questa clausola ad aprire ufficialmente la strada all’esternalizzazione dell’asilo, permettendo agli Stati membri di appoggiarsi a Paesi partner per trattenere i migranti, esaminare le domande e organizzare i rimpatri.

La cornice si completa con il nuovo regolamento sui rimpatri che istituzionalizza la possibilità di creare hub di ritorno fuori dall’Ue. Questi centri potranno trattenere le persone destinatarie di un ordine di espulsione anche con misure più severe in caso di mancata collaborazione.

Dubbi sui diritti umani

L’esecutivo torna a sperare nel modello Albania che ha avuto un percorso accidentato. Il protocollo firmato da Roma e Tirana prevedeva due strutture formalmente sotto giurisdizione italiana, pensate per identificare rapidamente i migranti soccorsi in mare, processare acceleratamente le richieste d’asilo ed effettuare i rimpatri.

Ma i ricorsi presentati in Italia e in Europa hanno sollevato dubbi sulla compatibilità del progetto con il diritto Ue e con la Convenzione europea dei diritti umani, mentre una sentenza della Corte di giustizia ha censurato la detenzione di richiedenti bengalesi e imposto criteri più rigorosi sulla nozione di Paese sicuro.

A queste difficoltà si sono aggiunti problemi organizzativi, costi crescenti e periodi in cui i centri sono rimasti quasi inutilizzati.

Esulta il Governo Meloni

L’accordo europeo è stato salutato dal Viminale e dal Governo come il tassello mancante. Il ministro Matteo Piantedosi sottolinea come l’Europa riconosca la legittimità delle soluzioni esterne all’Ue e consenta ai centri in Albania di operare secondo il progetto iniziale: trattenere i migranti per le procedure accelerate di frontiera e organizzare i rimpatri in tempi rapidi.

Piantedosi e il commento sui centri:

Nella lettura del governo, l’Unione si allinea alla strategia italiana che sposta verso sud ed est la linea effettiva del controllo delle frontiere, moltiplicando gli accordi con Paesi considerati partner sicuri.

Ma il concetto di Paese sicuro è anche il terreno su cui si concentra la critica più aspra.

Le preoccupazioni di Ong e giuristi

Ong, giuristi e una vasta coalizione di organizzazioni per i diritti umani contestano l’inserimento nella lista europea di Stati nei quali – secondo relazioni internazionali – persistono detenzioni arbitrarie, repressione del dissenso, violazioni delle libertà civili o violenze contro migranti.

Le associazioni denunciano che la Commissione stessa riconosce gravi criticità nei Paesi elencati, pur proponendone la qualificazione come sicuri, trasformando quello che definiscono una finzione giuridica in un automatismo che rischia di esporre persone vulnerabili a pericoli reali.

Preoccupazioni analoghe riguardano il regolamento sui rimpatri.

Ora deciderà il Parlamento Ue

Amnesty International e altre organizzazioni parlano di una stretta punitiva e disumanizzante che riduce ulteriormente le garanzie procedurali e amplia l’uso della detenzione, anche in caso di semplice mancata collaborazione.

Temono inoltre che gli hub esterni creino zone d’ombra difficili da monitorare dove famiglie e minori potrebbero essere trattenuti a lungo con scarse possibilità di verifica da parte della società civile e con il rischio di respingimenti indiretti verso Paesi non sicuri.

Il pacchetto approvato dal Consiglio passerà ora al vaglio del Parlamento europeo che dovrà negoziare il testo finale.

È ancora tutto da decidere

Sebbene la commissione Libertà civili abbia dato un via libera preliminare, nel Parlamento restano divisioni profonde, soprattutto tra i gruppi progressisti.

Se l’iter legislativo sarà rapido, le nuove norme potrebbero entrare in vigore prima delle scadenze originarie del Patto migrazione e asilo, costringendo gli Stati membri a rivedere in tempi brevi le proprie normative nazionali su asilo, trattenimento e rimpatri.

In questo scenario, l’Italia emerge come protagonista ma anche come sorvegliata speciale. Da un lato rivendica il ruolo di apripista europeo, dall’altro resta esposta a un contenzioso non concluso.

Le decisioni della Corte di giustizia e i ricorsi ancora pendenti continueranno a determinare o meno la compatibilità del modello Albania con il diritto europeo.