Barbie, tra mito moderno e femminismo fasullo: la bambola della Mattel compie 65 anni – L’Irriverente commento di Simone Di Matteo
Un improbabile simbolo di emancipazione che ha racchiuso le donne in una gabbia ancor più piccola di quella che si voleva rompere
Da un po’ di tempo a questa parte non faccio che interrogarmi sul perché, al giorno d’oggi più che in passato, si avverta l’impellente bisogno di avere dei miti a cui far riferimento. E naturalmente non intendo i famosi miti dell’Antica Grecia, che qualcosa da insegnare pur ce l’avevano. Al contrario, parlo di quell’infinità di miti terreni tristemente noti, siano essi attori cinematografici, prezzemolini televisivi, autorità politiche della cifra di Giorgia Meloni che soltanto Highlander Dj riesce a farci risultare simpatiche, braccia levate all’agricoltura e prestate alle telecamere del Grande Fratello, civettuole gossippare e casalingue disperate che giusto nell’immensa discarica dei social network potevano andare a finire nemmeno fossero delle Daniela Martani qualunque. Insomma, uomini e donne o aspiranti tali che noi per primi onoriamo di una responsabilità che non meriterebbero affatto trasformandoli, a loro unico vantaggio, in modelli da emulare e guide da cui prendere esempio benché rimangano, sotto ogni punto di vista, individui senza né parte a cui non andrebbe lasciata alcuna voce in capitolo o spazio in qualsivoglia ambito. E tra questi, neanche a dirlo, rientra sicuramente la bambola più conosciuta al mondo, la Barbie della Mattel, che lo scorso 9 marzo, impeccabile come al solito, ha varcato la veneranda soglia dei 65 anni.
L’utopia di Barbie e la totale disconnessione con la realtà
In una società fatta di filtri e apparenze, maschere e moralismo, la diva di plastica più conosciuta dell’intero pianeta (continuo a riferirmi a Barbie, non certo a Kim Kardashian, non fraintendetemi!) incarna alla perfezione lo spirito della contemporaneità. In fondo, è una donna perfetta, bella, ricca, desiderata e realizzata, roba che farebbe invidia persino a Chiara Ferragni, la piccola fiammiferaia di CityLife, e a cui non è mai mancato nulla. Anzi, a differenza delle sue più affezionate emulatrici e improbabili estimatori, ha avuto sempre di più. Si è rivelata la più desiderata d'America, con una famiglia in confronto alla quale quella della Mulino Bianco è l’emblema della disfunzionalità, una miriade di amici, un fidanzato perfetto e degno di equipararsi al Principe Azzurro della migliore delle fiabe, trentotto animali, tra cui cani, gatti, cavalli, un cucciolo di leone e una zebra, una casa in campagna, un super guardaroba con capi d'abbigliamento esclusivi e firmati, una collezione privata di decappottabili, camper, moto e molto altro ancora. In altre parole, una privilegiata che ha ottenuto tutto ciò che si può desiderare dalla vita, ma che, il più delle volte, per i comuni mortali rimane per l’appunto questo: un desiderio.
Creata per abbattere le disparità di genere, poi, o almeno è quel che si prefiggeva come scopo la sua ideatrice, e dimostrare dunque alle donne che si può intraprendere qualsiasi tipo di percorso lavorativo, la bambola ha svolto numerose professioni, così tante che, anziché rappresentare un’occasione di spunto che potesse valer la pena, ha finito esclusivamente per farla. Non a caso, l’abbiamo vista, tra le altre cose, atleta olimpionica (1987,1996), paleontologa (1997), astronauta (1994), modella (1959), candidata presidenziale (Rappresentante del Partito Delle Ragazze 1992), Presidente degli Stati Uniti (2004), ambasciatrice UNICEF (1990), rock star (1986), vigile del fuoco (1995), pilota d'aereo (1990) e chi più ne ha, più ne metta. Vale a dire, quanto di più improbabile la realtà attuale possa purtroppo offrire alla donna, alimentando, di contro, la falsa retorica del “se vuoi, puoi” , rafforzando canoni estetici e contraddizioni al limite del paradosso che hanno apportato più danni che benefici, e racchiudendo le donne all'interno di una gabbia ancor più piccola di quella che ci si era ripromessi di aprire!
E lo stesso si potrebbe affermare per l’omonimo film del 2023 diretto da Greta Gerwig, con protagonisti Margot Robbie e Ryan Gosling. Nonostante la pellicola presenti vari record tutti al femminile (tra cui l’Oscar 2024 alla Miglior Canzone Originale a cura di Billie Eilish) e presenti un intreccio rovesciato in cui sono le Barbie ad avere una posizione privilegiata rispetto ai Ken, passando per la non troppo velata strizzatina d’occhio al #MeToo e al tema dell’emancipazione con cui si è soliti riempirsi solamente la bocca, la sua storia non fa altro che alimentare la credenza in un’utopia che non è alla portata di chiunque e che si frantuma non appena, come del resto accade nel lungometraggio, ogniqualvolta si scontra con la contemporaneità tangibile. Forse perché non ci si adopera abbastanza affinché questa si realizzi, o chissà, magari perché “il troppo stroppia” e l’effetto che si ottiene è esattamente l’opposto di ciò che si sperava. I suoi intenti saranno sicuramente nobili, per carità, ma sono ben lungi da potersi realizzare se essi rimangono soltanto una vetrina per esibire ideali e non metterli in pratica.
Perciò, sarà pur vero che, per citare il lungometraggio in questione, “le idee vivono per sempre”, peccato solo, però, che la vita sia fugace e che il suo senso non l’abbia ancora capito nessuno!