il piccolo consegnato alla Mangiagalli

Altro neonato abbandonato a Milano, intanto Enea non avrà più il nome che la mamma aveva scelto per lui

Parlano due esperte, che mettono in fila gli errori fatti in questa vicenda: a tutela dei prossimi minori e delle prossime mamme

Altro neonato abbandonato a Milano, intanto Enea non avrà più il nome che la mamma aveva scelto per lui
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Si sbaglia. E con la vicenda del piccolo Enea gli errori sono stati tanti. Da parte dei media (ed è giusto fare un mea culpa), da parte di chi si è sentito in diritto di commentare le scelte della  madre biologica, da parte di coloro che non hanno protetto la privacy del piccolo e hanno reso pubblico il contenuto della missiva che la mamma ha lasciato nella culla insieme al minore, da parte di chi - seppure in buona fede - ha ritenuto di spendere il proprio nome pubblico facendo appelli alla donna per tornare a riprendersi il piccolo. Come se una decisione tanto soverchiante fosse stata presa alla leggera e bastasse un piccolo incoraggiamento per risolvere a tarallucci e vino problemi - evidentemente - talmente gravi da impedire di tenere con sé il proprio piccolo.

Il risultato è che Enea, con alta probabilità, perderà il suo nome: l'unica cosa che la mamma naturale aveva disposto per lui. I tentativi, seppure animati dalle migliori intenzioni, di aiutare questa donna si sono rivelati un boomerang e adesso il suo bimbo non porterà il nome che lei aveva scelto.

Ed è con queste consapevolezze che la narrazione sulla consegna all'ospedale Buzzi di un altro neonato, pochi giorni dopo Enea, sempre a Milano, da parte della madre biologica - senza fissa dimora - che ha scelto il parto in anonimato per poi affidarlo al nosocomio, deve fermarsi qui.

Il piccolo Enea rischia di "perdere" il nome datogli dalla sua mamma

"La polemica con il senno di poi rischia di apparire sterile ma avrebbe davvero dovuto esserci il silenzio intorno all’abbandono di quel bambino. Al massimo avrebbe potuto essere comunicata la notizia ma tutto il resto doveva restare coperto dalla privacy. Il fatto che sia stato diffuso ad esempio il nome scritto dalla mamma nella lettera, Enea, potrebbe precludere la possibilità di dargli davvero quello: l’ufficiale di stato civile probabilmente gliene conferirà uno diverso nell’interesse del piccolo che non deve essere riconoscibile", spiega Anna Lucchelli, presidente della Camera minorile di Milano, al Corriere della Sera.

Il contenuto della lettera

Veniamo ad un altro punto importante, la lettera che la donna ha lasciato nella culla, di fianco al piccolo, che conteneva diverse informazioni che sono state rese pubbliche:

Conserviamo qui in Tribunale un centinaio di lettere che le mamme, dopo aver partorito in modo anonimo in ospedale, hanno lasciato per i loro figli. Non abbiamo mai aperto una busta: la segretezza delle parole va rispettata e protetta, tuona Maria Carla Gatto, presidente del Tribunale per i minorenni.

Nel 2013 la Corte costituzionale ha emesso una sentenza in forza della quale il giudice può interpellare la madre su richiesta del figlio che abbia compiuto 25 anni, ai fini di una eventuale revoca del segreto sulle sue generalità. In buona sostanza la mamma, che partorisce in modo segreto, può poi essere interpellata in futuro da un magistrato in merito alla sua volontà di revoca o meno dell’anonimato. Gatto spiega che nel 2014 il Tribunale per i minorenni di Milano: "ha inviato alle direzioni sanitarie e neonatologie del distretto l’invito ad informare le mamme che partoriscono della possibilità di lasciare scritte le proprie “volontà” al momento del parto". Esattamente come quella lettera che madre di Enea ha preparato, e che verrà allegata al procedimento di adottabilità e anche indicare, ad esempio, se intende acconsentire all’eventualità che le sue generalità vengano comunicate al figlio in futuro, oppure no. Decisioni capitali. Missive che rimangono chiuse, sigillate. Non come è accaduto nella vicenda di Enea.

Culla per la vita (Mangiagalli, Milano)

"Chi siamo noi per fare appelli?"

Sottolineando, perché si rende urgente farlo, che la madre del piccolo Enea ha fatto tutto nella maniera più corretta in termini di legge e di tutela verso il suo piccolo, dimostrando grandissimo amore e senso di protezione materna, ma soprattutto fiducia nelle istituzioni (a differenza di altre neo mamme che li abbandonano in luoghi desolati e pericolosi mettendoli a rischio), però tutto il resto è stato sbagliato. E non per sua responsabilità. Paradossalmente proprio coloro che si sono spesi per fare appelli, che hanno diffuso informazioni riservate, che hanno incitato la donna a tornare sui propri passi, sono coloro che mettono a rischio i neonati. Perché? Semplice: dopo tutto questo clamore è possibile che una donna, nelle medesime condizioni, decida di evitare il rischio di sovraesposizione e magari non imbocchi le vie più sicure e tutelanti per lei e per il neonato, con rischi sensibili per la salute di entrambi.

"In tutta la mia carriera non ho mai visto una mamma che torna sui suoi passi dopo essersi separata volontariamente dal proprio figlio. Una scelta del genere è traumatica, complessa, non impulsiva e quasi mai dovuta soltanto a ragioni economiche. Chi siamo noi per fare appelli perché ci ripensi? E spingendo il ragionamento fino ad una provocazione, chi può dire in generale che un genitore biologico sia più adatto a crescere e educare rispetto ad un genitore adottivo?", ha chiarito Lucchelli.

Ecco le ragioni per le quali su questa vicenda, ora, deve calare il silenzio. Per questa e per quelle analoghe in futuro. Ma un silenzio che riparta da queste consapevolezze, che non potevano essere tralasciate. Ed ecco perché la mamma di Enea, o come si chiamerà in futuro, è stata migliore di tutti coloro che, seppure in buona fede - su quello non c'è dubbio - hanno preteso di darle consigli di vita.

Informazioni utili

E chiudiamo ricominciando dall'inizio di questa narrazione distorta: un minore, nel giorno di Pasqua, è stato consegnato (non abbandonato) alla Culla per la vita dell'ospedale Mangiagalli di Milano. Uno strumento sicuro e disposto dalla legge italiana deputato ad accogliere, in totale sicurezza e anonimato, i neonati di cui le madri, per ragioni che non spetta a nessuno indagare, non possono farsi carico. Ma che hanno a cuore la salute e la tutela dei loro piccoli.

Dal 1997 in Italia è prevista inoltre la possibilità legale di usufruire del “parto in anonimato”: la legge consente a una donna di partorire in ospedale in condizioni di riservatezza e di non riconoscere il bambino, di cui viene riconosciuto subito lo stato di abbandono e la conseguente adottabilità. Il nome della donna che ha partorito rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto "nato da donna che non consente di essere nominata".

Recenti sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione hanno recepito le indicazioni di convenzioni internazionali che tutelano il diritto del bambino o della bambina a ottenere informazioni sulle proprie origini e sui propri genitori biologici. A determinate condizioni e secondo determinate procedure, quindi, si possono richiedere informazioni sulla madre biologica.

Inoltre i “parti in anonimato” prevedono la raccolta di informazioni in forma anonima sulla storia clinica e sulle notizie mediche riguardanti la donna che ha partorito, per eventuali necessità mediche future del bambino.

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