La spiegazione

Perché il vigile che timbrava il cartellino in mutande è stato risarcito di 227mila euro

"La mia immagine è stata rovinata per sempre, non me lo meritavo"

Perché il vigile che timbrava il cartellino in mutande è stato risarcito di 227mila euro
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Vi ricordate il "vigile in mutande" che timbrava il cartellino? Il video aveva fatto il giro di social e telegiornali, scatenando l'indignazione popolare e diventando il simbolo di una maxi indagine sui cosiddetti “furbetti del cartellino” della procura di Imperia, oltre a portarne al licenziamento.

Ebbene, il Comune di Sanremo dovrà sborsare 227mila euro ad Alberto Muraglia - così si chiama il protagonista della vicenda -  la sentenza è definitiva.

Il "vigile in mutande": la sentenza di risarcimento

Nel filmato in questione Muraglia era stato immortalato mentre timbrava il cartellino per andare al lavoro senza pantaloni perché, secondo l'accusa, sarebbe poi tornato a casa a dormire invece di prendere servizio. Ma nel corso del processo la sua difesa ha dimostrato l'uomo in realtà iniziava a lavorare addirittura in anticipo.

Non era infatti solo vigile, ma anche custode di un mercato (occupazione che svolgeva in cambio di un alloggio nello stabile della struttura) e alle 5.30 si svegliava per aprirne i cancelli. Poi alle 6 attaccava col suo lavoro ‘ufficiale. L'imputato aveva poi spiegato:

"In tutta la mia carriera sono stato costretto a timbrare in slip in sei occasioni"; si trattava sempre di "festivi, quando il mercato comunale è chiuso". Del resto "iIl mio alloggio, dove vivo con la mia famiglia, il mio ufficio e la timbratrice sono nello stesso edificio".

Nessun reintegro

L’ormai ex agente della municipale non rientrerà comunque in servizio, visto che si era già dimesso. Ma Muraglia ora potrebbe fare un decreto ingiuntivo: stando ai suoi conti il Comune non avrebbe tenuto in considerazione alcune voci, quali la rivalutazione del capitale, degli interessi e le ferie non godute, per un totale di circa 60 mila euro.

"Il reintegro, spiega, non l’ho accettato perché non volevo più lavorare per persone che non avevano creduto in me, nella mia onestà, nonostante avessi sempre portato la divisa con onore e dignità. E poi il Comune ha presentato ricorso anche contro la sentenza di reintegro".

Ma non è escluso che la sentenza della Corte di Cassazione possa portare ad analoghe sentenze per altri ex dipendenti del Comune, licenziati a suo tempo, in occasione dell'inchiesta.

Cosa fa oggi?

In questi anni infatti Muraglia si è riciclato come aggiustatutto:

"Ho aperto un piccolo laboratorio, adesso va a gonfie vele. Con me c’è mia figlia Aurora, si occupa della parte amministrativa, delle etichette per citofoni, delle chiavi. Si sta laureando in informatica, deve solo discutere la tesi. C’è anche mio nipote".

Ma dice che non dimenticherà i nove anni di calvario:

"Sono io che non voglio dimenticare, anzi. Anche se la mia immagine è stata rovinata per sempre, e non me lo meritavo, per il resto sono contento così. È stato un percorso lungo, difficile e doloroso. Ma ne sono uscito vincente".

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