LE MOTIVAZIONI

Addio al “sì” finale: cambia l’Inno di Mameli nelle cerimonie militari ufficiali

La proposta è arrivata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, seguita dal decreto del presidente della Repubblica Mattarella

Addio al “sì” finale: cambia l’Inno di Mameli nelle cerimonie militari ufficiali

Il “sì” finale dell’Inno di Mameli non risuonerà più nelle cerimonie militari ufficiali. A stabilirlo è un decreto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, firmato il 14 marzo 2025 su proposta della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 maggio dello stesso anno. La decisione, anticipata dal Fatto Quotidiano e confermata anche dall’ANSA, riguarda le modalità di esecuzione dell’Inno nazionale e segna un ritorno a una versione considerata più aderente al testo originario.

La novità sull’inno: nessun “Sì” dopo “l’Italia chiamò”

A dare attuazione concreta al decreto è stato lo Stato Maggiore della Difesa con una disposizione datata 2 dicembre.

Nel documento, firmato dal generale di divisione Gaetano Lunardo, capo del I reparto dello Stato Maggiore dell’Esercito, si stabilisce che durante eventi e cerimonie militari di rilevanza istituzionale, ogniqualvolta Il Canto degli italiani venga eseguito nella versione cantata, non dovrà essere pronunciato il “sì” finale dopo il verso “Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò”.

L’ordine è stato trasmesso a tutti i comandi, dall’Esercito alla Guardia di Finanza, con l’indicazione di garantirne la “scrupolosa osservanza” fino ai presidi territoriali più piccoli.

Qual è il motivo della decisione?

Secondo alcune letture, la scelta potrebbe essere interpretata come un messaggio implicito sul ruolo dell’Italia nei conflitti internazionali, quasi a voler smorzare il richiamo più bellico del testo. Tuttavia, dal Quirinale la spiegazione fornita è di tutt’altro tenore.

Goffredo Mameli

Come spiegato dal Colle, infatti, non si tratta di una scelta politica ma di un adeguamento tecnico e filologico. Il decreto richiama il “riconoscimento del testo de Il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale Inno nazionale della Repubblica“, come previsto dalla legge 4 dicembre 2017, n. 181, che ha reso ufficiale l’inno solo pochi anni fa. L’obiettivo sarebbe dunque quello di uniformare le esecuzioni ufficiali a una versione ritenuta più fedele alle fonti originarie.

A sostegno di questa impostazione viene citato il manoscritto autografo di Mameli del 1847, conservato al Museo del Risorgimento di Torino. In quel testo, il poeta risorgimentale non inserì l’avverbio di affermazione finale. Il “” compare invece nello spartito musicale attribuito a Michele Novaro, che avrebbe giustificato l’aggiunta come una chiusura solenne, “un grido supremo, il quale è un giuramento e un grido di guerra“. Proprio questa differenza tra testo poetico e tradizione musicale ha alimentato nel tempo un’ambiguità mai del tutto risolta.

Michele Novaro

Sul sito ufficiale del Quirinale, non a caso, è stata scelta come riferimento l’esecuzione del 1971 cantata dal tenore Mario Del Monaco. In quella versione, dopo il verso conclusivo, l’inno termina con la sola musica, senza alcun grido finale. Una scelta che rafforza l’idea di un ritorno a una prassi già esistente e riconosciuta in ambito istituzionale.

Il nodo storico e musicologico

Resta però un nodo storico e musicologico. Se è vero che il “sì” non compare nel testo inviato da Mameli a Novaro, è altrettanto vero che nello spartito musicale il termine è presente. Secondo l’edizione critica curata da Maurizio Benedetti e pubblicata nel 2019 dalle Edizioni del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, il “sì” sarebbe stato aggiunto proprio da Novaro. Ed è questa la versione che, in passato, aveva trovato il favore del presidente Carlo Azeglio Ciampi, contribuendo a consolidarne l’uso nelle cerimonie pubbliche e sportive.

La copertina dell’edizione del 1860 de Il Canto degli Italiani

La disposizione dello Stato Maggiore, tuttavia, non lascia spazio a interpretazioni: nelle cerimonie militari ufficiali il “sì” non dovrà più essere pronunciato. Una sillaba che scompare, ma che per molti rappresenta molto più di una semplice consuetudine musicale. Nelle caserme, racconta ancora Il Fatto Quotidiano, la decisione ha suscitato malumori e perplessità, proprio perché interviene su un gesto rituale profondamente radicato.