settore da milioni di euro

Gli influencer non possono fare quello che gli pare, serve una legge: la Francia ci pensa (l'Italia anche)

Un tema che ha un peso, oltre che etico, economico. Macron al lavoro per legiferare, nel nostro Paese abbiamo un sindacato ufficiale

Gli influencer non possono fare quello che gli pare, serve una legge: la Francia ci pensa (l'Italia anche)
Pubblicato:
Aggiornato:

La necessità di regolare il mercato degli influencer, e in particolare la loro principale fonte di guadagno, ovvero i contenuti sponsorizzati, è un tema che la Francia intende trattare molto seriamente. La scorsa settimana Renaissance, il partito del presidente Emmanuel Macron, e il Partito Socialista, di opposizione, hanno annunciato che lavoreranno insieme a una proposta di legge sostenuta dal governo, dopo che negli ultimi mesi ne avevano presentate due diverse.

E se, Oltralpe, ci si è resi contro dell'importanza di legiferare su questa nuova professione, in Italia a che punto siamo dopo la nascita del primo sindacato ufficiale degli influencer?

In Francia gli influencer sono presi sul serio: un disegno di legge per regolamentarli

Molti influencer sono accusati di non essere trasparenti nel presentare le pubblicità come tali, altri di promuovere con grande enfasi prodotti di dubbia affidabilità, come pillole per dimagrire o attività eticamente discutibili, come le scommesse.

In Francia il tema è molto sentito, mediante una nuova legge si intende creare le condizioni legali per riconoscere giuridicamente una professione che non è ancora contemplata dal diritto francese, e che quindi finora ha dovuto seguire regole che erano state fatte per altre professioni: con evidenti limiti.

Il presidente francese Macron, molto attivo sul suo account Instagram

Il governo francese stima che nel paese ci siano circa 150mila influencer. Con un relativo giro d'affari di grande peso. Macron non si ferma qui: vuole inoltre riconoscere anche il mestiere ormai diffuso di “agente degli influencer”.

La bozza di legge verrà discussa a marzo 2023, al momento non vi sono ancora dettagli, ma uno dei politici più attivi sull’argomento è il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, che all’inizio di gennaio ha lanciato una consultazione popolare online per raccogliere proposte su come "inquadrare meglio gli influencer", che terminerà a fine mese.

Bruno Le Maire

I temi sul tavolo spaziano dalla creazione di una sorta di albo professionale a una definizione giuridica ufficiale di chi siano gli influencer e i loro agenti, l’istituzione di un codice di buona condotta da seguire, l’obbligo da parte degli influencer di segnalare le immagini e i video ritoccati, l’aumento della sorveglianza delle autorità e il divieto di promuovere certi prodotti.

Il governo punta anche a fare accordi con i social network affinché rendano più semplice per gli utenti segnalare truffe e comportamenti scorretti.

Temi da vietare

Questa settimana comunque sarà in discussione in parlamento un’altra legge che propone di vietare agli influencer la sponsorizzazione di interventi chirurgici (con riferimento particolare a quelli estetici), farmaci e investimenti rischiosi come quelli in criptovalute.

Sulla regolamentazione delle attività online in questi anni le autorità francesi sono state più attive rispetto a quelle di altri Paesi.

E le regole in Italia?

Anche in Italia, sebbene decisamente più indietro sul tema rispetto ai francesi, vi sono già delle disposizioni per gli influencer.

All’interno delle didascalie dei loro post o nelle stories in cui mostrano un qualche prodotto, di una qualche azienda, inseriscono spesso gli hashtag #ad o #suppliedby. Questo è un esempio di un obbligo giuridico, per cui gli influencer sono chiamati ad indicare in maniera chiara ai loro follower che, tramite quel post, stanno effettuando una vera e propria pubblicità a pagamento. E non si tratta di un consiglio disinteressato.

Hastag che avverte della pubblicità in atto

Nel codice del consumo negli articoli 21, 22 e 23, i quali delineano i profili di ingannevolezza delle pratiche commerciali, le pubblicità vengono considerate, appunto, ingannevoli quando deviano il comportamento economico del consumatore, nonché quando vìolano il principio sancito dall’art. 1, comma 2, del Decreto Legislativo 145/2007, per cui la pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta.

E questo deve valere anche per gli influencer che non possono fare pubblicità occulta.

Anche l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria è intervenuto sul tema nel 2016, quando ha redatto la Digital Chart (inserita poi nel 2019 all’interno dello stesso Codice di Autodisciplina Pubblicitaria). 

L’obbligo di inserire questi hashtag non è previsto solo per quegli Influencer legati all’azienda da un rapporto di natura commerciale, ma anche per quelli che ricevono occasionalmente e gratuitamente (o per un modico valore) i prodotti e, dunque, se decidono di citarli nelle loro stories o nei loro post dovranno comunque segnalare la natura di quell’opinione, inserendo una precisazione o disclaimer in maniera verbale, se parlata, come “Questo prodotto mi è stato inviato da (nome del brand)”, o ben leggibile, se scritta, come “prodotto inviato da (nome del brand)” o i più conosciuti e usati #supplied o #gifted.

L’obbligo è posto anche per le stories, soggette ad una particolare previsione da parte dell’Istituto, poiché si tratta di contenuti “a scadenza”, cioè con una durata complessiva di 24 ore, che poi si eliminano automaticamente; dunque, lo IAP ha previsto che le diciture “devono essere sovrapposte in modo ben visibile agli elementi visivi di ogni contenuto promozionale”, comprese le stories. Le regole fondamentali della Digital Chart sono, dunque, la trasparenza e la correttezza, indispensabili affinché possa formarsi un rapporto di fiducia serio e leale tra chi effettua le comunicazioni e chi ne risulti spettatore e affinché i consumatori possano svolgere una navigazione sul web e sui social sempre più consapevole.

Allo stesso modo si sono mosse le Autorità Antitrust straniere, prima tra tutte l’americana Federal Trade Commission, la quale ha previsto gli stessi obblighi delineati dalla nostra Digital Chart, nonché il criterio della “connessione materiale” tra Influencer e Azienda, per cui se tra questi sussiste un rapporto oggettivo, che sia d’affari, familiare o personale, è previsto l’obbligo di disclosure dell’endorsement, ossia di segnalare in maniera chiara e palese tale collegamento.

Il sindacato degli influencer in Italia

A chiudere questa carrellata un ultimo, interessante dettaglio: nonostante in Italia c'è ancora chi non li consideri “veri” lavoratori, abbiamo (minimo) 350mila content creator, influencer, podcaster, youtuber, streamer, instagrammer e cyber atleti, per un valore di mercato di 280 milioni di euro, che nel 2021 ha registrato una crescita del 15%, secondo elaborazione DeRev Lab, che, avendo analizzato i dati dell'anno in corso, prevede un aumento del 20 % rispetto al 2021. E le cifre nell'ultimo anno e mezzo sono al rialzo.

A sostegno di questa categoria è stata istituita una nuova campagna di tesseramento: Assoinfluencer: la prima associazione italiana di categoria a essere inserita nell’elenco delle professionali del ministero dello Sviluppo economico:

“La campagna riguarda tutti coloro che fanno parte della creator economy: non solo chi promuove un brand, ma chi riesce a usare i social media con finalità divulgativa e promuove anche la sua attività”, spiega Jacopo Ierussi, fondatore di Assoinfluencer insieme a Valentina Salonia.

E ancora:

"Quello degli influencer è un mestiere che nel nostro paese viene ancora banalizzato: anche solo il termine “influencer” all'estero ha una considerazione diversa. Bisogna però riuscire a far capire alle aziende italiane che i professionisti che si occupano di creare contenuti sui social, ad esempio, possono anche promuovere un'attività. Spesso ci si basa solo sul numero di follower, ma ci sono anche tanti altri elementi da analizzare per capire come lavora un content creator. Ad esempio, l'engagement rate: meglio un professionista che ha meno seguaci su Instagram, ma che ha un engagement rate alto, di uno che ha tantissimo seguito, ma non ha un buon engagement rate".

Insomma, l'argomento è decisamente stratificato e la necessità di dare sempre maggiori regole non può più attendere. I francesi l'hanno capito - in considerazione anche degli importanti indotti del settore - e intendono legiferare al più presto sul tema.

Seguici sui nostri canali