Le province e i settori

La disoccupazione quest'anno è scesa, ma nel 2023 è destinata a risalire (63mila in più senza lavoro)

Le città stanno cambiando volto: con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento.

La disoccupazione quest'anno è scesa, ma nel 2023 è destinata a risalire (63mila in più senza lavoro)
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L’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre CGIA ha diffuso uno studio inerente l'andamento del mercato del lavoro nel 2023: le previsioni sono tutt'altro che tranquillizzanti. Rispetto al 2022 la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi e ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, parliamo di almeno 63 mila persone senza lavoro, che sfioreranno la quota di 2.118.000.

Vediamo nel dettaglio quali saranno le province più colpite e i settori che arrancheranno maggiormente.

Dopo un ottimo 2022, arriva la batosta

Soltanto qualche settimana fa l'Istat confermava:

"A ottobre 2022 prosegue la crescita dell’occupazione registrata a settembre, per effetto dell’aumento dei dipendenti permanenti. Rispetto a ottobre 2021, l’incremento è pari a quasi 500mila occupati ed è determinato dall’aumento dei dipendenti che ammontano a circa 18 milioni 250mila. Rispetto al mese precedente, a ottobre 2022, il tasso di occupazione sale al 60,5% (valore record dal 1977, primo anno della sere storica), quelli di disoccupazione e inattività scendono al 7,8% e al 34,3% rispettivamente”.

L'anno che stiamo per salutare, infatti, ha rappresentato un piccolo miracolo economico per l'Italia, se si considera che nel decennio 2011-2020 il tasso di attività, (che comprende anche i disoccupati), era stato il più basso di tutta l’Unione europea.

Dal 2013 la precarietà dei rapporti da lavoro era progressivamente aumentata, nel contesto di un ciclo economico che aveva avuto inizio nel 2012. Nel 2023 serviranno il conto le incertezze geopolitiche, il caro energia e l'inflazione. Inizialmente le imprese italiane hanno cercato di reagire aumentando la loro base occupazionale, pescando soprattutto nel grande mondo del precariato. Oggi c'è odore di recessione, in vista di una possibile crisi è meglio serrare i ranghi e limitarsi a tenersi strette quelle maestranze la cui affidabilità è già comprovata.

La disoccupazione salirà all’8,4 per cento

In termini assoluti, le situazioni più critiche si verificheranno nel Centro-Sud: Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari, Messina, Catania e Siracusa saranno le province che registreranno gli incrementi maggiori.

Ma, nella classifica delle province che sentiranno maggiormente il colpo fanno capolino anche un polo industriale di rilievo come Torino, al decimo posto e l'inaspettata Modena (al quattordicesimo). Ancora un'altra cittadina piemontese fra le prime venti che vedranno il maggior numero di disoccupati nel 2023: parliamo di Alessandria.

La disoccupazione salirà all’8,4 per cento

Nel 2023 il tasso di disoccupazione è destinato a salire all’8,4 per cento. Un livello, comunque, che torna ad allinearsi con il dato del 2011; anno che ha anticipato la crisi del debito sovrano del 2012-2013. Il Centro-Sud sarà la ripartizione geografica più “colpita”: l’incidenza della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania (+11.054) sarà pari al 58 per cento del totale nazionale. Ultima in classifica, ovvero la città dove l'occupazione invece terrà, è Milano.

Napoli, Roma e Caserta le province più colpite

A livello territoriale le 10 province più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993). Poche le realtà territoriali che, invece, vedranno diminuire il numero dei senza lavoro. Si segnala, in particolare, Perugia (-741), Lucca (-864) e Milano (-1.098).

I settori più in difficoltà

Sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i settori che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare comunque di capire che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell’alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte. Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori, altre difficoltà interesseranno i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative.

Preoccupa la tenuta del lavoro autonomo

Secondo gli ultimi dati presentati dall’Istat, dal febbraio 2020 (mese pre Covid) fino a ottobre 2022 (ultimo dato disponibile), i lavoratori indipendenti (sono inclusi anche i soci di cooperative, i collaboratori familiari, etc.) sono scesi di 205 mila unità, mentre i lavoratori dipendenti sono aumentati di 377 mila. Certo, tra questi ultimi, registriamo, in particolar modo, l’incremento del numero degli occupati con un contratto a tempo determinato, tuttavia questa comparazione ci evidenzia che la crisi pandemica e quella energetica ha colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili. Ricordiamo, infatti, che hanno pochissime tutele: rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr e tredicesime/quattordicesime. In caso di difficoltà momentanea non hanno né Cig né, in caso di chiusura dell’attività, di alcuna forma di NASPI.

Il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.

A repentaglio la coesione sociale

La chiusura di tantissime piccole attività economiche è riscontrabile anche a occhio nudo; basta girare a piedi per accorgersi che sono sempre più numerosi i negozi e le botteghe con le saracinesche abbassate 24 ore su 24. Il rischio di mettere a repentaglio la coesione sociale del Paese è molto forte. Le chiusure stanno interessando sia i centri storici sia le periferie delle nostre città, gettando nell’abbandono interi isolati, provocando un senso di vuoto e un pericoloso peggioramento della qualità della vita per chi abita in queste realtà.

Meno visibile, ma altrettanto preoccupante, sono le chiusure che hanno interessato anche i liberi professionisti, gli avvocati, i commercialisti e i consulenti che svolgevano la propria attività in uffici/studi ubicati all’interno di un condominio. Insomma, le città stanno cambiando volto: con meno negozi e uffici sono meno frequentate, più insicure e con livelli di degrado in aumento. La moria di attività sta colpendo anche coloro che storicamente sono sempre stati in concorrenza con i negozi di vicinato; ovvero i centri commerciali. Anche la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) è in difficoltà e non sono poche le aree commerciali al chiuso che presentano intere sezioni dell’immobile precluse al pubblico, perché le attività presenti precedentemente hanno abbassato definitivamente le saracinesche.

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